Conversando con il prof. Ernesto Paolozzi
Intervista di Valter Vecellio
Napoli, 13 luglio 2015
Valter Vecellio intervista il professor Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia Contemporanea presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
L’intervista è stata registrata domenica 2 agosto 2015 alle ore 11:00.
Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Andreotti, Comunicazione, Destra, Diritto, Economia, Europa, Giustizia, Governo, Liberalismo, Politica, Renzi, Sinistra, Societa’, Storia, Ue.
Fonte: Radio Radicale
Il professor Ernesto Paolozzi è docente di Storia della Filosofia contemporanea presso l’università Suor Orsola Benincasa di Napoli e presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Studioso di Benedetto Croce, tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: il “Carteggio Croce-Mann”; “L’identità liberale in una società in trasformazione”; “Il liberalismo come metodo”; “Bioetica: una scienza per la vita”; “Benedetto Croce e il metodo liberale”.
Professor Paolozzi, è fresco di stampa un suo libro, ‘Il liberalismo come metodo’. Già il titolo è intrigante; lo prendiamo come filo conduttore della conversazione e dei temi che vorremmo affrontare… Cosa intendiamo, quando si parla di ‘liberalismo come metodo’?”.
Ernesto Paolozzi: “‘Metodo’ può vuol dire due cose: da un lato, una tecnica di governo, ma è in questo il senso che utilizzo questo termine. Lo si può anche intendere come il tentativo di sciogliere le dottrine classiche tipiche del liberalismo in una filosofia della libertà in grado di confrontarsi con la storia, con la contingenza; un confronto secondo principi, se così si può dire, di un’utopia liberale, e che abbia sempre come punto di riferimento il fatto concreto che accade nella storia. Mi spiego: è il tentativo di mettere le teorie del liberalismo in movimento, perché sono convinto che uno dei motivi per cui il liberalismo è entrato in crisi, è perché si è irrigidito in una serie di dottrine, economiche, istituzionali, sociali, che di per sé per sé possono anche avere una loro validità teorica; ma se non le si adattano alle condizioni storiche, spesso possono risultare poco liberali…”.
Questa cristallizzazione del liberalismo è un controsenso, l’essenza stessa del liberalismo è quella di essere una continua verifica, un continuo mettere in discussione, un eterno confronto…
Paolozzi: “Perfettamente.”
La cristallizzazione del liberalismo equivale alla sua morte. E’ d’accordo? E come impedire questo decesso?
Paolozzi: “Vediamo: quando per esempio quando sentiamo da parte di una certa sinistra, ma ormai anche da una certa destra, attaccare il cosiddetto pensiero unico, in realtà intendono attaccare una certa versione del liberalismo. Se noi rimaniamo fermi a questa versione è chiaro che poi anche le parti più estremiste o radicali (nel senso letterali) possono avere ragione nell’attaccare il liberalismo. Ancora: quando pensiamo a un’Europa ‘tecnocratica’, che si fonda su alcuni principi che passano per liberali (almeno per quanto guarda l’economia), in realtà facciamo un danno gravissimo; proprio perché come abbiamo detto il liberalismo deve essere antagonista a questa forma di idea di un’Europa ‘astratta’ quale l’Europa che si è affermata…”.
Qui arriviamo a un punto che si ritrova nelle prime pagine del suo libro: ‘… un liberalismo metodologico che eviti di chiudersi in dottrinarismi, che non costringa l’irrequieta vita della libertà in particolari dottrine economiche, o giuridiche o istituzionali’. Mi pare un punto nodale: ‘La formula della libertà non esiste’: perché questa formula no esiste?
Paolozzi: “Il fatto è che se proviamo a circoscrivere la questione in una formula precisa, come ad esempio hanno tentato alcuni ingenui filosofi americani, si finisce col richiudere un pensiero vivo in una piccola definizione bloccata. Allora, alla domanda: che cosa è il liberalismo?, rispondo con quella che secondo me è la definizione più acuta: la teoria del potere, che limita il potere”.
Lo limita o lo controlla?
Paolozzi: “Lo limita e lo controlla. Però non può limitarsi a questo. Il liberalismo è anche ciò che consente a chiunque di intraprendere le proprie aspirazioni, secondo la sua creatività. Anche se non è sempre così…”.
Anche il più irriducibile liberale deve ammettere che qualche peletto va piantato…
Paolozzi: “Certo. Ma occorre fare molta attenzione, si tratta di cose da maneggiare con molta cura…Poi ci sono correnti di pensiero che devono essere inglobati in modo più strutturale nel liberalismo. Anche per questo, spesso mi sono trovato a essere vicinissimo al movimento radicale, ai radicali”.
La interrompo: perché movimento, e non partito?
Paolozzi: “Partito è giusto, ha ragione. Si deve essere fieri di essere ‘Partito’…”.
Spesso si dice ‘movimento’; al contrario, al termine ‘Partito’ siamo affezionati…
Paolozzi: “Ha ragione a rivendicare il termine ‘Partito’…Il lapsus deriva forse dal fatto che quello radicale è un partito molto ‘movimentista’…E rientra a pieno titolo in quel liberalismo metodologico di cui parlo: cioè molto capace anche di spiazzare”.
Lei dice: ‘La formula della libertà non esiste’…Io ora le chiedo: può esistere libertà senza conoscenza? E’ eccessivo dire che la conoscenza, il sapere è il presupposto fondamentale per poter essere liberi?
Paolozzi: “Sono perfettamente d’accordo con questo modo di impostare la questione”.
Possiamo dire di essere veramente liberi?
Paolozzi: “Molto poco. Pessimismo e ottimismo sono categorie psicologiche: quindi quando si cerca di parlare di filosofia o di filosofia politica bisogna cercare di evitarle, a volte si può essere condizionati anche da fattori individuali, e ce ne rendiamo conto… Però un certo pessimismo anche della ragione ci può essere: effettivamente, se penso alle condizioni della stampa e dell’informazione in generale, formalmente, è liberissime in Italia, in realtà incredibilmente conformiste, legate agli stessi schemi…Ecco: qui la libertà viene messa in seria discussione. Da questo punto di vista sono preoccupato”.
Qui però una sorta di paradosso: in teoria, mai come di questi tempi abbiamo a disposizione una quantità di strumenti per la conoscenza: giornali, televisione, la radio, tutti gli strumenti telematici possibili, con un semplice click siamo in grado di accedere a una quantità di informazioni inimmaginabili solo cinquant’anni fa…C’è una straordinaria possibilità di conoscenza senza aver più il fastidio e la necessità di lunghe permanenze in biblioteche, centri specializzati. Ora con un computer e un clic si può fare tutto con molta più facilità e comodità. Al tempo stesso, chiedo a lei conferma, c’è un incredibile impoverimento, una mancanza di curiosità; mi verrebbe da dire che questa sorta di conformismo forse deriva dalla enorme quantità potenziale di informazioni di cui si dispone…
Paolozzi: “Qui si tocca il punto nodale. L’ultimo dibattito che si è aperto sulla questione degli imbecilli nei social network, mostra che il problema c’è tutto… All’inizio io sono stato tra i più entusiasti dell’avvento del web, internet… pensavo che così, finalmente, si sarebbe riusciti a rompere le incrostazioni conformistiche o di potere, che vedono prigioniera tutta la stampa, non solo quella italiana. Dopodiché, è nato questo ulteriore problema: è vero che il mondo di internet svolge questa funzione; però è anche vero che diventa del tutto incontrollabile: per cui può succedere perfino che addirittura il “fatto” sia completamente camuffato, taroccato; ed è difficilissimo avere degli strumenti che consentano di cautelarsi da questi pericoli…Allora in questa situazione uno rischia di dire: mi occuperò solo di quelle due, tre cose che conosco, perché tutto il resto vengo preso in giro… Se si arriva a questo è la fine. Un americano sa tutto del baseball e io nulla; io so tutto del calcio e del fuorigioco, e un americano niente. Bisogna mettere in grado anche a me di capire un po’ di baseball, e a un americano di capire, almeno vagamente, cosa sia il fuorigioco… Se questo è il problema, come fare? Cosa fa un liberale?…La via più semplice è quella usata da alcuni Stati totalitari: quando vedono che la democrazia di internet, la contrastano, la chiudono. Noi non possiamo farlo… Il grande limite dei liberali è che possiamo fare tutto tranne che invocare la censura, essere illiberali; anche se Karl Popper, poco prima di morire l’ha come invocata, auspicando un controllo dello strumento televisione per quel che riguarda l’informazione sui bambini; molti, quando parlano di questa posizione di Popper, si dimenticano di dire che si riferiva solo ai minori…Per tornare alla questione, cosa possiamo fare? Penso che la sola strada che resta sia quella liberale: cercare di creare anche in questi segmenti, quella autorevolezza che garantisce di fatto la persona; che può dire: ‘Questa televisione, questo giornale mi hanno dato prove, garanzie sufficienti, per cui mi fido’. Quella che in America chiamano “reputazione”. È fondamentale riconquistare in alcuni segmenti dell’informazione, ma anche del mondo universitario che è ancora più rovinato dell’informazione, un po’ di reputazione. Se non c’è un gruppo di persone, di intellettuali, di partiti piccoli, eccetera, che riescono ad avere la capacità di dire: ‘Tutto sommato possono sbagliare, ma almeno sbagliano in buona fede, dunque mi posso fidare’, siamo nella tragedia dell’informazione… Un tempo si diceva: Croce rappresenta la dogana sul Volturno… Nel senso che quando usciva un libro di filosofia, o di critica, o di letteratura, il giudizio di Croce pesava; si poteva discuterlo, però se Croce aveva detto che il romanzo era brutto, insomma, ci si rifletteva, quel giudizio pesava. Se noi non riusciamo a ricreare questi tipi di élite, di aristocrazie intellettuali, se mi passate la definizione, allora c’è lo sfascio: perché, obiettivamente, nessuno riesce a capire perché non si compra o non si compra uno libro; perché viene recensito, lo si segnala, se lo si è davvero letto, o se invece si tratta di un imbroglio…”.
Certamente si deve prestare una certa attenzione a chi recensisce…Il recensore, man a mano che recensisce, si guadagna anche una sua credibilità, la reputazione. Se il recensore scrive dieci recensioni a pagamento, prima o poi ci si accorge che ti rifila delle fregature. Ma a parte questo aspetto, vorrei approfondire la questione del diritto-dovere alla conoscenza. I radicali battono questo chiodo da tempo sul diritto alla conoscenza; non un diritto astrattamente inteso, perché è chiaro che ci sono cose che è bene restino tutelate; che si conoscano dopo un certo periodo di tempo. Faccio un esempio banale: nel caso di un sequestrato da un movimento islamista estremista, e questa persona viene in qualche modo liberata, sia che si paghi un riscatto, sia che si faccia un’azione militare, è bene non conoscere i dettagli immediatamente; è bene conoscerli anni dopo, non foss’altro per non mettere a repentaglio tutte le persone che hanno contribuito, sul campo, a liberare la persona sequestrata. Ci sono altre cose che forse è bene conoscere subito, mano a mano che si sviluppano e si consumano: penso a decisioni del Governo su questioni economiche, il tipo di traffici in corso nei Paesi del Medio Oriente da parte dell’ENI, della Finmeccanica… Insomma, il sapere è anche un dato fondamentale. Ecco: fatta questa premessa di carattere teorico, come lo si governa questo diritto umano alla conoscenza?”.
Paolozzi: “E’ difficilissimo: voglio fare una piccola provocazione: nel mondo liberale e radicale va preservato anche il diritto all’ignoranza…”.
Questo ce lo spiega meglio dopo…
Paolozzi: “D’accordo. Come si fa a garantire questo? Penso che stavolta veramente, da liberale vero, occorra rafforzare tutti i cosiddetti corpi intermedi: quelli che Tocqueville e altri chiamavano corpi intermedi: quelle associazioni, quelle organizzazioni anche spontanee che nascono fra cittadini. Una democrazia non si regge se non c’è una conoscenza delle cose, una cultura di base delle persone che vengono chiamante a scegliere il destino; e poi di tutti gli altri, comprese le minoranze che votano in altro modo. Quindi c’è questa necessità. Soprattutto, oltre a divulgare, e fare quest’opera di pedagogia, c’è anche la necessità di scovare quelle verità che vengono in qualche modo occultate o travestite. Faccio un esempio: se fossi il segretario di un partito, metterei dei giovani giornalisti a controllare tutti i titoli dei telegiornali. Per fare un esempio, quando un telegiornale riporta il dato dell’Istat sulla disoccupazione: titolo grande, e sembra che ci sono tantissimi disoccupati; poi, alla fine del telegiornale qualcuno dice in un servizio che erano i dati che si riferivano ai tre anni precedenti… questo modo di occultare la realtà, il nostro Presidente del Consiglio le definirebbe ‘Le operazioni dei gufi’…”.
Questo vale anche per il suo contrario, quando si dice: “C’è la ripresa”, e poi però uno non riesce a concretizzarla questa evocata ripresa…
Paolozzi: “E certo la grande polemica: “Sono aumentati i posti di lavoro…”; “No in realtà sono quelli che già c’erano…”.Sono solo due esempi, ma se uno guarda anche il resto dell’informazione, fa spavento…”.
Quello che accade succedeva anche in passato…
Paolozzi: “Succedeva nei periodi che precedevano l’avvento dei totalitarismi; è un po’ inquietante. Non sono un pessimista per natura, anzi, credo che il fatto stesso che ne stiamo parlando è positivo, ci si pone almeno il problema; e la possibile soluzione può venire solo se si pone bene del problema…”.
Porre il problema: lo si è cominciato a porre individuando come diritto umano quello alla e della conoscenza. Ma la cosa resta circoscritta in ristretti ambiti; se lo stesso fatto che si pone la questione non viene conosciuto, non se ne discute e ci si confronta…ecco: già questo è un primo grande, problema…
Paolozzi: “Sì, è un problema gravissimo. L’ho detto prima: se fossi il segretario di un partito, poniamo del Partito Democratico, questa questione me la porrei, e la porrei con forza. Opererei per promuovere, spontaneamente, nella società, un dibattito e un confronto vero, anche conflittuale. Perché non bisogna dimenticarlo: un altro principio tipico del liberalismo, è questo del confronto e del ‘conflitto’. Sbaglia chi riduce tutto a una tecnica di governo”.
La democrazia come qualcosa che ‘spacca’, non solo ‘livella’…
Paolozzi: “Esattamente. Una buona dose di sana conflittualità in una società, è necessaria”.
…E se si fanno compromessi, li si fanno alla luce del sole…
Paolozzi: “Alla luce del sole, certo; ma non c’è nulla di male se alla fine ci si conta…”.
Lei prima accennava al ‘diritto all’ignoranza’. Vale a dire?
Paolozzi: “Prendiamo la riforma della scuola…”.
Paolozzi: “Sì, la riforma Giannini; esistono ancora, ed esisteranno sempre, le cosiddette “indicazioni ministeriali”; diciamo che io sono un professore, e devo avere un preside che per certi aspetti giustamente (ma per altri, meno giustamente), mi deve valutare; in più ci sono le indicazioni ministeriali. Ho il diritto all’ignoranza, nel senso di dire: ‘Io di queste indicazioni ministeriali e di quello che pensa il preside me ne frego; me ne frego assolutamente’, per il semplice fatto che se noi seguissimo sempre le indicazioni ministeriali forse, negli anni passati, i più grandi studiosi, filosofi, eccetera, del pensiero critico, sarebbero stati espunti? Questo è un problema…”.
Però accetti un’obiezione: che della commissione incaricata di valutare facciano parte rappresentanti dei genitori, ammetterà che è un po’ stravagante, molto demagogico. A parte che non so bene con quale criterio verranno scelti questi rappresentanti, ma insomma, a ognuno il suo mestiere. Questo senza nulla voler togliere al fatto che sia giusto periodicamente sottoporre al vaglio e alla verifica i docenti. Lo chiedeva Gaetano Salvemini nel 1910. Però non è scandaloso discutere le modalità di queste verifiche…
Paolozzi: “Qui è il punto: il problema è costituito dalle le modalità, non dal fatto in sé. Molti dimenticano che da tutti viene considerata la riforma Gentile, e che rimane la migliore tra quelle fatte, in realtà era di Croce; perché Croce l’aveva impiantata Croce; poi, se non ricordo male, non passò per i franchi tiratori dell’epoca. Venne poi il fascismo, Gentile la riprese, la cambiò in un certo modo, ma l’impianto tutto sommato era quello liberale di Croce. Per tornare alla valutazione: è chiaro che va fatta. Il problema è come. E qui non comprendo la posizione di Renzi. I tipi di valutazione che mettiamo in campo oggi nella scuola sono modi di controllo burocratico, astratti; scontano una mentalità non scientifica. Per cui c’è il rischio che alla fine sia premiata la mediocrità grazie a questo tipo di controllo astratto, presunto asettico e oggettivo. ‘L’esattezza scambiata per verità’, dicevano alcuni filosofi. Mi ricordo che Bertrand Russell faceva un esempio di questo tipo: se uno domanda
La cosiddetta riforma Giannini?
a un giovane di Frosinone: ‘Dimmi le iniziali del cognome del Sindaco di Roma”. Lui risponde: ‘M’. ‘Risposta esatta’, dice il professore, alla Mike Bongiorno. Poi dopo tre giorni la zia dice al giovane: ‘Hai visto, c’è il sindaco di Roma Marino…’; e il ragazzo: ‘Ma non era Mattarella?’. Tutti e due hanno il cognome che inizia per M, la risposta data dal ragazzo è esatta, ma è anche sbagliata. Allora se noi creiamo un sistema di valutazione esatto ma non vero, abbiamo distrutto la scuola italiana… Come si stanno accorgendo un po’ in tutto il mondo; noi purtroppo mostriamo di accorgercene solo ora”.
Mi sembra che lei nutra una certa fiducia in Renzi, quel che fa e dice di voler fare…Da dove nasce questa fiducia?
Paolozzi: “Forse è una speranza”. Buona regola è non valutare tanto le parole, quanto i comportamenti.
Paolozzi: “La regola è buona, ed è una regola liberale. Più in generale, credo che si dovrebbe esercitare una maggiore forma di controllo. Sarebbe utile se ci fosse, per esempio, un pool di persone, come ha proposto una volta Umberto Eco, che monitorizza le pagine dei giornali, o il web…, e periodicamente rediga rapporti su quello che si pubblica, si diffonde, la loro fondatezza, veridicità…”.
Ricorderà meglio di me l’einaudiano “conoscere per deliberare”…
Paolozzi: “In concreto non ancora. Ma qui torniamo al come metodo. Non possiamo pensare che il liberalismo si possa ridurre solo a delle buone leggi. Il diritto bisogna esercitarlo, non solo scriverlo”.
Lei sta parlando di una teoria della prassi.
Paolozzi: “La teoria della prassi… La prassi ha una sua forza che nessuna teoria deve ingabbiare…”.
Paolozzi: “Vale ancora. Soprattutto ora…”. Scorge dei segni in questa direzione?
Lei nel suo libro scrive: ‘Poteri occulti inquinano la vita civile di molti Paesi, mentre chi detiene il potere politico si avvale di strumenti potentissimi di manipolazione dell’opinione pubblica che è, come dire, del “popolo democratico”. Sono tre righe appena, ma sono un ottimo concentrato di quello che abbiamo finora cercato di dire. Però c’è un passaggio inquietante, questo: ‘strumenti potentissimi di manipolazione e poteri occulti’…”.
Paolozzi: “Penso alle grandi reti televisive mondiali. Noi, in Italia, per esempio, ora abbiamo Murdoch, che è sbarcato in Italia, per carità, fa una televisione dignitosissima… Però, dedicando un solo canale, solo alla politica eccetera, ha una sua potenza, un suo impatto notevole e, tutto sommato, io credo che noi non è che sappiamo moltissimo di quali sono le dinamiche che sono dietro quei network: oramai ci sfuggono. Una volta, al tempo della cosiddetta ‘prima repubblica’ c’era la RAI, e tutto era molto più chiaro: un canale democristiano, un altro socialista, il terzo comunista… Poi con l’avvento delle televisioni private le cose hanno cominciato a complicarsi… Ora credo che identificare gli interessi che sono alle spalle di questi grandi colossi di produzione, cultura e informazione, sia difficilissimo. Come e dove si affrontano e sviluppano queste tematiche”.
Negli anni ‘50 c’erano i partiti, avevano i loro legittimi interessi che perseguivano come credevano, come sapevano; e poi venivano approvati o disapprovati a seconda dell’elettore che gli dava fiducia o meno… Poi c’erano associazioni…Lei ha citato molto Croce. Proprio Croce è stato tra gli animatori dell’“Associazione per la libertà della cultura”, una sorta di sezione italiana di una più generale associazione che aveva diramazioni in Francia, Regno Unito, Germania; e c’era il meglio della cultura laica e liberale del tempo: opponeva una resistenza e un’alternativa al comunismo e al clericalismo… Organizzavano convegni, manifestazioni, dibattiti, pubblicavano libri, riviste: “ Il Mondo” di Mario Pannunzio; “Tempo presente” di Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte; ma anche “Nord e Sud” di Francesco Compagna; “Il Ponte di Piero Calamandrei…Non crede che ci sia necessità di qualcosa di simile?
Paolozzi: “Magari si riuscisse a farlo…Pensi se si riuscisse a dare forza e vigore a una delle grandi intuizioni del Partito Radicale, quella del Partito Transnazionale. Lì bisogna proprio dire che Pannella ha avuto una visione davvero lungimirante; e coerentissima, anche se da liberale faccio l’elogio dell’incoerenza. Ma insomma, questa intuizione del Partito Trasnazionale è coerentissima con l’idea dell’Europa, dell’europeismo…”.
Quando dice “europeismo” si collega al “Manifesto di Ventotene”, di Ernesto Rossi e di, Altiero Spinelli…
Paolozzi: “Naturalmente. Premetto che uso un’espressione che deve essere recuperata: il concetto di “Etico-politico”. Noi oggi abbiamo bisogno di queste grandi associazioni, che vadano al di là dei confini, perché da soli questa grande battaglia non la vinceremo. La necessità di superare il confine nazionale vale per la politica, ma vale anche per la cultura. Sono sicuro che si troverebbe un tanta gente disposta a impegnarsi in questo senso”.
Diciamo un’organizzazione “aperta”, nel senso, senza costrizioni e senza vincoli particolari, se non quelli del gusto di voler contribuire a una ricerca e a una riflessione, a un confronto…
Paolozzi: “Che sia di pungolo e controllo… Controllo in senso sempre liberale, senza strumenti di coercizione: un controllo libero”.
(trascrizione della conversazione trasmessa da “Radio Radicale” non rivista dall’autore)
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Valter Vecellio intervista il professor Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia Contemporanea presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
L’intervista è stata registrata domenica 2 agosto 2015 alle ore 11:00.
Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Andreotti, Comunicazione, Destra, Diritto, Economia, Europa, Giustizia, Governo, Liberalismo, Politica, Renzi, Sinistra, Societa’, Storia, Ue.
Fonte: Radio Radicale
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Il professor Ernesto Paolozzi è docente di Storia della Filosofia contemporanea presso l’università Suor Orsola Benincasa di Napoli e presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Studioso di Benedetto Croce, tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: il “Carteggio Croce-Mann”; “L’identità liberale in una società in trasformazione”; “Il liberalismo come metodo”; “Bioetica: una scienza per la vita”; “Benedetto Croce e il metodo liberale”.
Professor Paolozzi, è fresco di stampa un suo libro, ‘Il liberalismo come metodo’. Già il titolo è intrigante; lo prendiamo come filo conduttore della conversazione e dei temi che vorremmo affrontare… Cosa intendiamo, quando si parla di ‘liberalismo come metodo’?”.
Ernesto Paolozzi: “‘Metodo’ può vuol dire due cose: da un lato, una tecnica di governo, ma è in questo il senso che utilizzo questo termine. Lo si può anche intendere come il tentativo di sciogliere le dottrine classiche tipiche del liberalismo in una filosofia della libertà in grado di confrontarsi con la storia, con la contingenza; un confronto secondo principi, se così si può dire, di un’utopia liberale, e che abbia sempre come punto di riferimento il fatto concreto che accade nella storia. Mi spiego: è il tentativo di mettere le teorie del liberalismo in movimento, perché sono convinto che uno dei motivi per cui il liberalismo è entrato in crisi, è perché si è irrigidito in una serie di dottrine, economiche, istituzionali, sociali, che di per sé per sé possono anche avere una loro validità teorica; ma se non le si adattano alle condizioni storiche, spesso possono risultare poco liberali…”.
Questa cristallizzazione del liberalismo è un controsenso, l’essenza stessa del liberalismo è quella di essere una continua verifica, un continuo mettere in discussione, un eterno confronto…
Paolozzi: “Perfettamente.”
La cristallizzazione del liberalismo equivale alla sua morte. E’ d’accordo? E come impedire questo decesso?
Paolozzi: “Vediamo: quando per esempio quando sentiamo da parte di una certa sinistra, ma ormai anche da una certa destra, attaccare il cosiddetto pensiero unico, in realtà intendono attaccare una certa versione del liberalismo. Se noi rimaniamo fermi a questa versione è chiaro che poi anche le parti più estremiste o radicali (nel senso letterali) possono avere ragione nell’attaccare il liberalismo. Ancora: quando pensiamo a un’Europa ‘tecnocratica’, che si fonda su alcuni principi che passano per liberali (almeno per quanto guarda l’economia), in realtà facciamo un danno gravissimo; proprio perché come abbiamo detto il liberalismo deve essere antagonista a questa forma di idea di un’Europa ‘astratta’ quale l’Europa che si è affermata…”.
Qui arriviamo a un punto che si ritrova nelle prime pagine del suo libro: ‘… un liberalismo metodologico che eviti di chiudersi in dottrinarismi, che non costringa l’irrequieta vita della libertà in particolari dottrine economiche, o giuridiche o istituzionali’. Mi pare un punto nodale: ‘La formula della libertà non esiste’: perché questa formula no esiste?
Paolozzi: “Il fatto è che se proviamo a circoscrivere la questione in una formula precisa, come ad esempio hanno tentato alcuni ingenui filosofi americani, si finisce col richiudere un pensiero vivo in una piccola definizione bloccata. Allora, alla domanda: che cosa è il liberalismo?, rispondo con quella che secondo me è la definizione più acuta: la teoria del potere, che limita il potere”.
Lo limita o lo controlla?
Paolozzi: “Lo limita e lo controlla. Però non può limitarsi a questo. Il liberalismo è anche ciò che consente a chiunque di intraprendere le proprie aspirazioni, secondo la sua creatività. Anche se non è sempre così…”.
Anche il più irriducibile liberale deve ammettere che qualche peletto va piantato…
Paolozzi: “Certo. Ma occorre fare molta attenzione, si tratta di cose da maneggiare con molta cura…Poi ci sono correnti di pensiero che devono essere inglobati in modo più strutturale nel liberalismo. Anche per questo, spesso mi sono trovato a essere vicinissimo al movimento radicale, ai radicali”.
La interrompo: perché movimento, e non partito?
Paolozzi: “Partito è giusto, ha ragione. Si deve essere fieri di essere ‘Partito’…”.
Spesso si dice ‘movimento’; al contrario, al termine ‘Partito’ siamo affezionati…
Paolozzi: “Ha ragione a rivendicare il termine ‘Partito’…Il lapsus deriva forse dal fatto che quello radicale è un partito molto ‘movimentista’…E rientra a pieno titolo in quel liberalismo metodologico di cui parlo: cioè molto capace anche di spiazzare”.
Lei dice: ‘La formula della libertà non esiste’…Io ora le chiedo: può esistere libertà senza conoscenza? E’ eccessivo dire che la conoscenza, il sapere è il presupposto fondamentale per poter essere liberi?
Paolozzi: “Sono perfettamente d’accordo con questo modo di impostare la questione”.
Possiamo dire di essere veramente liberi?
Paolozzi: “Molto poco. Pessimismo e ottimismo sono categorie psicologiche: quindi quando si cerca di parlare di filosofia o di filosofia politica bisogna cercare di evitarle, a volte si può essere condizionati anche da fattori individuali, e ce ne rendiamo conto… Però un certo pessimismo anche della ragione ci può essere: effettivamente, se penso alle condizioni della stampa e dell’informazione in generale, formalmente, è liberissime in Italia, in realtà incredibilmente conformiste, legate agli stessi schemi…Ecco: qui la libertà viene messa in seria discussione. Da questo punto di vista sono preoccupato”.
Qui però una sorta di paradosso: in teoria, mai come di questi tempi abbiamo a disposizione una quantità di strumenti per la conoscenza: giornali, televisione, la radio, tutti gli strumenti telematici possibili, con un semplice click siamo in grado di accedere a una quantità di informazioni inimmaginabili solo cinquant’anni fa…C’è una straordinaria possibilità di conoscenza senza aver più il fastidio e la necessità di lunghe permanenze in biblioteche, centri specializzati. Ora con un computer e un clic si può fare tutto con molta più facilità e comodità. Al tempo stesso, chiedo a lei conferma, c’è un incredibile impoverimento, una mancanza di curiosità; mi verrebbe da dire che questa sorta di conformismo forse deriva dalla enorme quantità potenziale di informazioni di cui si dispone…
Paolozzi: “Qui si tocca il punto nodale. L’ultimo dibattito che si è aperto sulla questione degli imbecilli nei social network, mostra che il problema c’è tutto… All’inizio io sono stato tra i più entusiasti dell’avvento del web, internet… pensavo che così, finalmente, si sarebbe riusciti a rompere le incrostazioni conformistiche o di potere, che vedono prigioniera tutta la stampa, non solo quella italiana. Dopodiché, è nato questo ulteriore problema: è vero che il mondo di internet svolge questa funzione; però è anche vero che diventa del tutto incontrollabile: per cui può succedere perfino che addirittura il “fatto” sia completamente camuffato, taroccato; ed è difficilissimo avere degli strumenti che consentano di cautelarsi da questi pericoli…Allora in questa situazione uno rischia di dire: mi occuperò solo di quelle due, tre cose che conosco, perché tutto il resto vengo preso in giro… Se si arriva a questo è la fine. Un americano sa tutto del baseball e io nulla; io so tutto del calcio e del fuorigioco, e un americano niente. Bisogna mettere in grado anche a me di capire un po’ di baseball, e a un americano di capire, almeno vagamente, cosa sia il fuorigioco… Se questo è il problema, come fare? Cosa fa un liberale?…La via più semplice è quella usata da alcuni Stati totalitari: quando vedono che la democrazia di internet, la contrastano, la chiudono. Noi non possiamo farlo… Il grande limite dei liberali è che possiamo fare tutto tranne che invocare la censura, essere illiberali; anche se Karl Popper, poco prima di morire l’ha come invocata, auspicando un controllo dello strumento televisione per quel che riguarda l’informazione sui bambini; molti, quando parlano di questa posizione di Popper, si dimenticano di dire che si riferiva solo ai minori…Per tornare alla questione, cosa possiamo fare? Penso che la sola strada che resta sia quella liberale: cercare di creare anche in questi segmenti, quella autorevolezza che garantisce di fatto la persona; che può dire: ‘Questa televisione, questo giornale mi hanno dato prove, garanzie sufficienti, per cui mi fido’. Quella che in America chiamano “reputazione”. È fondamentale riconquistare in alcuni segmenti dell’informazione, ma anche del mondo universitario che è ancora più rovinato dell’informazione, un po’ di reputazione. Se non c’è un gruppo di persone, di intellettuali, di partiti piccoli, eccetera, che riescono ad avere la capacità di dire: ‘Tutto sommato possono sbagliare, ma almeno sbagliano in buona fede, dunque mi posso fidare’, siamo nella tragedia dell’informazione… Un tempo si diceva: Croce rappresenta la dogana sul Volturno… Nel senso che quando usciva un libro di filosofia, o di critica, o di letteratura, il giudizio di Croce pesava; si poteva discuterlo, però se Croce aveva detto che il romanzo era brutto, insomma, ci si rifletteva, quel giudizio pesava. Se noi non riusciamo a ricreare questi tipi di élite, di aristocrazie intellettuali, se mi passate la definizione, allora c’è lo sfascio: perché, obiettivamente, nessuno riesce a capire perché non si compra o non si compra uno libro; perché viene recensito, lo si segnala, se lo si è davvero letto, o se invece si tratta di un imbroglio…”.
Certamente si deve prestare una certa attenzione a chi recensisce…Il recensore, man a mano che recensisce, si guadagna anche una sua credibilità, la reputazione. Se il recensore scrive dieci recensioni a pagamento, prima o poi ci si accorge che ti rifila delle fregature. Ma a parte questo aspetto, vorrei approfondire la questione del diritto-dovere alla conoscenza. I radicali battono questo chiodo da tempo sul diritto alla conoscenza; non un diritto astrattamente inteso, perché è chiaro che ci sono cose che è bene restino tutelate; che si conoscano dopo un certo periodo di tempo. Faccio un esempio banale: nel caso di un sequestrato da un movimento islamista estremista, e questa persona viene in qualche modo liberata, sia che si paghi un riscatto, sia che si faccia un’azione militare, è bene non conoscere i dettagli immediatamente; è bene conoscerli anni dopo, non foss’altro per non mettere a repentaglio tutte le persone che hanno contribuito, sul campo, a liberare la persona sequestrata. Ci sono altre cose che forse è bene conoscere subito, mano a mano che si sviluppano e si consumano: penso a decisioni del Governo su questioni economiche, il tipo di traffici in corso nei Paesi del Medio Oriente da parte dell’ENI, della Finmeccanica… Insomma, il sapere è anche un dato fondamentale. Ecco: fatta questa premessa di carattere teorico, come lo si governa questo diritto umano alla conoscenza?”.
Paolozzi: “E’ difficilissimo: voglio fare una piccola provocazione: nel mondo liberale e radicale va preservato anche il diritto all’ignoranza…”.
Questo ce lo spiega meglio dopo…
Paolozzi: “D’accordo. Come si fa a garantire questo? Penso che stavolta veramente, da liberale vero, occorra rafforzare tutti i cosiddetti corpi intermedi: quelli che Tocqueville e altri chiamavano corpi intermedi: quelle associazioni, quelle organizzazioni anche spontanee che nascono fra cittadini. Una democrazia non si regge se non c’è una conoscenza delle cose, una cultura di base delle persone che vengono chiamante a scegliere il destino; e poi di tutti gli altri, comprese le minoranze che votano in altro modo. Quindi c’è questa necessità. Soprattutto, oltre a divulgare, e fare quest’opera di pedagogia, c’è anche la necessità di scovare quelle verità che vengono in qualche modo occultate o travestite. Faccio un esempio: se fossi il segretario di un partito, metterei dei giovani giornalisti a controllare tutti i titoli dei telegiornali. Per fare un esempio, quando un telegiornale riporta il dato dell’Istat sulla disoccupazione: titolo grande, e sembra che ci sono tantissimi disoccupati; poi, alla fine del telegiornale qualcuno dice in un servizio che erano i dati che si riferivano ai tre anni precedenti… questo modo di occultare la realtà, il nostro Presidente del Consiglio le definirebbe ‘Le operazioni dei gufi’…”.
Questo vale anche per il suo contrario, quando si dice: “C’è la ripresa”, e poi però uno non riesce a concretizzarla questa evocata ripresa…
Paolozzi: “E certo la grande polemica: “Sono aumentati i posti di lavoro…”; “No in realtà sono quelli che già c’erano…”.Sono solo due esempi, ma se uno guarda anche il resto dell’informazione, fa spavento…”.
Quello che accade succedeva anche in passato…
Paolozzi: “Succedeva nei periodi che precedevano l’avvento dei totalitarismi; è un po’ inquietante. Non sono un pessimista per natura, anzi, credo che il fatto stesso che ne stiamo parlando è positivo, ci si pone almeno il problema; e la possibile soluzione può venire solo se si pone bene del problema…”.
Porre il problema: lo si è cominciato a porre individuando come diritto umano quello alla e della conoscenza. Ma la cosa resta circoscritta in ristretti ambiti; se lo stesso fatto che si pone la questione non viene conosciuto, non se ne discute e ci si confronta…ecco: già questo è un primo grande, problema…
Paolozzi: “Sì, è un problema gravissimo. L’ho detto prima: se fossi il segretario di un partito, poniamo del Partito Democratico, questa questione me la porrei, e la porrei con forza. Opererei per promuovere, spontaneamente, nella società, un dibattito e un confronto vero, anche conflittuale. Perché non bisogna dimenticarlo: un altro principio tipico del liberalismo, è questo del confronto e del ‘conflitto’. Sbaglia chi riduce tutto a una tecnica di governo”.
La democrazia come qualcosa che ‘spacca’, non solo ‘livella’…
Paolozzi: “Esattamente. Una buona dose di sana conflittualità in una società, è necessaria”.
…E se si fanno compromessi, li si fanno alla luce del sole…
Paolozzi: “Alla luce del sole, certo; ma non c’è nulla di male se alla fine ci si conta…”.
Lei prima accennava al ‘diritto all’ignoranza’. Vale a dire?
Paolozzi: “Prendiamo la riforma della scuola…”.
Paolozzi: “Sì, la riforma Giannini; esistono ancora, ed esisteranno sempre, le cosiddette “indicazioni ministeriali”; diciamo che io sono un professore, e devo avere un preside che per certi aspetti giustamente (ma per altri, meno giustamente), mi deve valutare; in più ci sono le indicazioni ministeriali. Ho il diritto all’ignoranza, nel senso di dire: ‘Io di queste indicazioni ministeriali e di quello che pensa il preside me ne frego; me ne frego assolutamente’, per il semplice fatto che se noi seguissimo sempre le indicazioni ministeriali forse, negli anni passati, i più grandi studiosi, filosofi, eccetera, del pensiero critico, sarebbero stati espunti? Questo è un problema…”.
Però accetti un’obiezione: che della commissione incaricata di valutare facciano parte rappresentanti dei genitori, ammetterà che è un po’ stravagante, molto demagogico. A parte che non so bene con quale criterio verranno scelti questi rappresentanti, ma insomma, a ognuno il suo mestiere. Questo senza nulla voler togliere al fatto che sia giusto periodicamente sottoporre al vaglio e alla verifica i docenti. Lo chiedeva Gaetano Salvemini nel 1910. Però non è scandaloso discutere le modalità di queste verifiche…
Paolozzi: “Qui è il punto: il problema è costituito dalle le modalità, non dal fatto in sé. Molti dimenticano che da tutti viene considerata la riforma Gentile, e che rimane la migliore tra quelle fatte, in realtà era di Croce; perché Croce l’aveva impiantata Croce; poi, se non ricordo male, non passò per i franchi tiratori dell’epoca. Venne poi il fascismo, Gentile la riprese, la cambiò in un certo modo, ma l’impianto tutto sommato era quello liberale di Croce. Per tornare alla valutazione: è chiaro che va fatta. Il problema è come. E qui non comprendo la posizione di Renzi. I tipi di valutazione che mettiamo in campo oggi nella scuola sono modi di controllo burocratico, astratti; scontano una mentalità non scientifica. Per cui c’è il rischio che alla fine sia premiata la mediocrità grazie a questo tipo di controllo astratto, presunto asettico e oggettivo. ‘L’esattezza scambiata per verità’, dicevano alcuni filosofi. Mi ricordo che Bertrand Russell faceva un esempio di questo tipo: se uno domanda
La cosiddetta riforma Giannini?
a un giovane di Frosinone: ‘Dimmi le iniziali del cognome del Sindaco di Roma”. Lui risponde: ‘M’. ‘Risposta esatta’, dice il professore, alla Mike Bongiorno. Poi dopo tre giorni la zia dice al giovane: ‘Hai visto, c’è il sindaco di Roma Marino…’; e il ragazzo: ‘Ma non era Mattarella?’. Tutti e due hanno il cognome che inizia per M, la risposta data dal ragazzo è esatta, ma è anche sbagliata. Allora se noi creiamo un sistema di valutazione esatto ma non vero, abbiamo distrutto la scuola italiana… Come si stanno accorgendo un po’ in tutto il mondo; noi purtroppo mostriamo di accorgercene solo ora”.
Mi sembra che lei nutra una certa fiducia in Renzi, quel che fa e dice di voler fare…Da dove nasce questa fiducia?
Paolozzi: “Forse è una speranza”. Buona regola è non valutare tanto le parole, quanto i comportamenti.
Paolozzi: “La regola è buona, ed è una regola liberale. Più in generale, credo che si dovrebbe esercitare una maggiore forma di controllo. Sarebbe utile se ci fosse, per esempio, un pool di persone, come ha proposto una volta Umberto Eco, che monitorizza le pagine dei giornali, o il web…, e periodicamente rediga rapporti su quello che si pubblica, si diffonde, la loro fondatezza, veridicità…”.
Ricorderà meglio di me l’einaudiano “conoscere per deliberare”…
Paolozzi: “In concreto non ancora. Ma qui torniamo al come metodo. Non possiamo pensare che il liberalismo si possa ridurre solo a delle buone leggi. Il diritto bisogna esercitarlo, non solo scriverlo”.
Lei sta parlando di una teoria della prassi.
Paolozzi: “La teoria della prassi… La prassi ha una sua forza che nessuna teoria deve ingabbiare…”.
Paolozzi: “Vale ancora. Soprattutto ora…”. Scorge dei segni in questa direzione?
Lei nel suo libro scrive: ‘Poteri occulti inquinano la vita civile di molti Paesi, mentre chi detiene il potere politico si avvale di strumenti potentissimi di manipolazione dell’opinione pubblica che è, come dire, del “popolo democratico”. Sono tre righe appena, ma sono un ottimo concentrato di quello che abbiamo finora cercato di dire. Però c’è un passaggio inquietante, questo: ‘strumenti potentissimi di manipolazione e poteri occulti’…”.
Paolozzi: “Penso alle grandi reti televisive mondiali. Noi, in Italia, per esempio, ora abbiamo Murdoch, che è sbarcato in Italia, per carità, fa una televisione dignitosissima… Però, dedicando un solo canale, solo alla politica eccetera, ha una sua potenza, un suo impatto notevole e, tutto sommato, io credo che noi non è che sappiamo moltissimo di quali sono le dinamiche che sono dietro quei network: oramai ci sfuggono. Una volta, al tempo della cosiddetta ‘prima repubblica’ c’era la RAI, e tutto era molto più chiaro: un canale democristiano, un altro socialista, il terzo comunista… Poi con l’avvento delle televisioni private le cose hanno cominciato a complicarsi… Ora credo che identificare gli interessi che sono alle spalle di questi grandi colossi di produzione, cultura e informazione, sia difficilissimo. Come e dove si affrontano e sviluppano queste tematiche”.
Negli anni ‘50 c’erano i partiti, avevano i loro legittimi interessi che perseguivano come credevano, come sapevano; e poi venivano approvati o disapprovati a seconda dell’elettore che gli dava fiducia o meno… Poi c’erano associazioni…Lei ha citato molto Croce. Proprio Croce è stato tra gli animatori dell’“Associazione per la libertà della cultura”, una sorta di sezione italiana di una più generale associazione che aveva diramazioni in Francia, Regno Unito, Germania; e c’era il meglio della cultura laica e liberale del tempo: opponeva una resistenza e un’alternativa al comunismo e al clericalismo… Organizzavano convegni, manifestazioni, dibattiti, pubblicavano libri, riviste: “ Il Mondo” di Mario Pannunzio; “Tempo presente” di Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte; ma anche “Nord e Sud” di Francesco Compagna; “Il Ponte di Piero Calamandrei…Non crede che ci sia necessità di qualcosa di simile?
Paolozzi: “Magari si riuscisse a farlo…Pensi se si riuscisse a dare forza e vigore a una delle grandi intuizioni del Partito Radicale, quella del Partito Transnazionale. Lì bisogna proprio dire che Pannella ha avuto una visione davvero lungimirante; e coerentissima, anche se da liberale faccio l’elogio dell’incoerenza. Ma insomma, questa intuizione del Partito Trasnazionale è coerentissima con l’idea dell’Europa, dell’europeismo…”.
Quando dice “europeismo” si collega al “Manifesto di Ventotene”, di Ernesto Rossi e di, Altiero Spinelli…
Paolozzi: “Naturalmente. Premetto che uso un’espressione che deve essere recuperata: il concetto di “Etico-politico”. Noi oggi abbiamo bisogno di queste grandi associazioni, che vadano al di là dei confini, perché da soli questa grande battaglia non la vinceremo. La necessità di superare il confine nazionale vale per la politica, ma vale anche per la cultura. Sono sicuro che si troverebbe un tanta gente disposta a impegnarsi in questo senso”.
Diciamo un’organizzazione “aperta”, nel senso, senza costrizioni e senza vincoli particolari, se non quelli del gusto di voler contribuire a una ricerca e a una riflessione, a un confronto…
Paolozzi: “Che sia di pungolo e controllo… Controllo in senso sempre liberale, senza strumenti di coercizione: un controllo libero”.
(trascrizione della conversazione trasmessa da “Radio Radicale” non rivista dall’autore)
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