Il mondo, ma specialmente quell’angolo di mondo che a noi è particolarmente caro, l’Italia, ha visto tra la prima e la seconda guerra mondiale un rinvigorirsi dei movimenti politici a fondo religioso; un mescolarsi di aspirazioni alla trascendenza e di interessi molto mondani, di superstizioni popolari e di ideologie. Il fatto più grave resta, però, lo strettissimo legame che unisce i partiti politico-religiosi alla Curia del Vaticano e, attraverso di esso, alla potentissima organizzazione religioso-politica della Compagnia di Gesù che, schiantata dalla cultura e dalla politica liberale ottocentesca, è risorta con rinnovato vigore, combattività, assenza di scrupoli, nell’odierna catastrofe spirituale del mondo.
Si tratta di una crisi del mondo europeo, che è, come sempre, crisi di spiritualità; non le cause (una o mille o millanta) ma la genesi ne va accennata nella storia degli ultimi settant’anni per capirne il significato e la vastità: è necessario rendersi conto dell’abisso verso cui corre la civiltà mondiale dopo l’abbandono di certi principi che ne avevano costituito la forza per un secolo, o poco più, veramente grandioso: il secolo che dalla rivoluzione americana, da Voltaire giungeva sino all’affermazione dello storicismo, come superamento di illuminismo e romanticismo. Il tracollo delle idealità che avevano fatto la grandezza della vecchia Europa settecento-ottocententesca ci ha portato all’odierna crisi con il risorgere del vecchio mondo superstizioso-gesuitico che avevamo creduto distrutto.
La lenta erosione che della società gerarchica medioevale avevano fatto correnti di pensiero non ecclesiastico, anche se religiose come le eresie e il misticismo, e non religiose come il risorto diritto romano e la economia precapitalistica e protocapitalistica aveva avuto la sua apoteosi nella grande Riforma protestante che, qualunque ne fossero gli aspetti drammatici, fu la più grande ribellione dello spirito di libera associazione religiosa e di libera individualità contro il peso della tirannide dello spirito di libera associazione religiosa e di libera individualità contro il peso della tirannide gerarchica della chiesa cattolica. Dalla Riforma in poi la storia del mondo euroamericano fu nettamente distinta in storia dei popoli che, attraverso la liberazione religiosa, avevano sperimentato forme nuove di libertà politica, di autogoverno, di violenta liberazione da un potere ecclesiastico-mondiale, esoso sfruttatore con decime e privilegi; e popoli che tale libertà non acquisirono o acquisirono solo parzialmente: i paesi calvinisti europei e americani conobbero un’ascesa che fa di essi ancora oggi popoli veramente liberali e democratici; i paesi cattolici (la disgraziata Italia, la più disgraziata Spagna, i paesi dell’America latina), sono andati precipitando in una irreparabile decadenza. Irreparabile, sinché questi paesi non hanno avuto la forza di riscattarsi con rivoluzioni politiche, come fece l’Italia, o politico-religiose come fece il Messico. Ma nei paesi calvinisti una delle più luminose conquiste dello spirito umano si faceva strada: l’idea della tolleranza.
Senza timore di esagerare, si può dire che, quando, dopo un lavoro lungo di precursori oggi portato alla luce da studi storico-eruditi, Locke scrisse nel 1685 e pubblicò nel 1689 l’“Epistola sulla tirannide”, una nuova era cominciava nel mondo: l’era della libertà di coscienza. I paesi calvinisti avevano saputo conquistare questa vittoria su se stessi (si ricordi l’intolleranza del primo calvinismo); bisognava che questa conquista si estendesse al mondo cattolico: il significato della lunga lotta sostenuta dai Sarpi, dai Galileo, dai Giannone, dal Giansenismo francese, dall’Illuminismo contro l’oscurantismo è per l’appunto in questa lenta conquista tolleranza. Ma se ancora un papa come Pio IX, nel pieno della vittoria laica, condannava la tolleranza, si può facilmente intendere quale lotta feroce la Chiesa romana abbia sostenuto contro la tolleranza. Sorta da esigenze profondamente religiose, la tolleranza diventava l’anima della nuova spiritualità liberale, laica.
Nel mondo liberato dalla tutela ecclesiastico-gerarchica fioriva la nuova economia capitalistica che nel liberalismo, nato dalla tolleranza, trovava un mondo umano, aperto alle audacie del pensiero e della prassi: il mondo liberale, penetrato nei paesi cattolici, trovava già il terreno preparato dalla cultura che il De Sanctis chiamò d’opposizione, la cultura storica, giuridica, scientifica, filosofica e si acclimatava tra noi, prorompendo infine in quell’epopea dello spirito di libertà che fu il nostro Risorgimento. Epopea dello spirito di tolleranza, di libertà, di critica; i cattolici che vi partecipavano non si riconobbero di certo in quella spaventosa condanna del mondo moderno, della Storia, della tolleranza, della critica che è il “Sillabo”, opera tanto più orrenda in quanto si ricollega a tutta una sequela di insulti al pensiero critico della civiltà moderna: domma dell’Immacolata Concezione, concilio vaticano con il domma della infallibilità pontificia, rerum novarum contraltare al Manifesto dei Comunisti, ma in realtà, nostalgica invocazione al ritorno dell’economia corporativa medioevale, negazione del progresso economico e, in quanto suscitatrice di un certo assetto sociale gerarchico, profondamente illiberale.
Il capitalismo si espandeva in tutto il mondo con i suoi mezzi brutali troppo noti; si faceva aprire, senza troppe gentilezze, le porte chiuse della Turchia, della Cina, del Giappone; si espandeva da un polo all’altro. Ma, insieme al capitalismo si espandeva il liberalismo, intendendo per tale non un movimento politico, ma tutta una concezione del mondo nata dallo spirito di popoli che, assimilata la cultura classico-cristiana, l’avevano potenziata di esperienze scientifiche, politiche, economiche apportatrici di sempre maggiore liberazione dello spirito umano. Il mondo era conquistato da aneliti alla libertà: il nome di un difensore della libertà, Mazzini, diventava comune in tutti i paesi del mondo, dall’India all’Argentina. Lo spirito ecclesiastico era veramente e pienamente sconfitto intorno alla seconda metà del secolo XIX, quando un Camillo di Cavour insegnava che con il metodo della libertà si costruiscono gli stati e si vincono anche le guerre. Cina, Giappone, India che invano conquiste ellenistiche o mongoliche avevano cercato fondere nella nostra civiltà, si avvicinavano al mondo europeo; non a quello della gerarchia e dell’oscurantismo medievale e post-tridentino, ma a quello del liberalismo e dello storicismo. La libertà sembrava trionfare negli animi di tutti; la cultura, l’arte, la vita sociale conoscevano trionfi che giammai uguali non aveva visto il mondo se non ai giorni fulgidi di Pericle. Come oggi siamo precipitati tanto in basso?
Uno degli spiriti più liberi che il mondo abbia conosciuto, Francesco De Sanctis, la cui anima serena aveva attinto la piena indipendenza da ogni superstizione e celebrava veramente in sé la gloria di un uomo libero, già negli ultimi giorni della sua vita, mezzo cieco, vedeva bene nel nuovo presente che si svolgeva sotto i suoi occhi e nell’immediato avvenire; egli diceva nel 1883: “…oggi nell’uomo si guarda troppo l’animale… Il fine della vita umana si cerca nel fine della vita animale, conservare e godere la vita. E, poiché mezzo a raggiungere quel fine è la forza nella lotta per l’esistenza, il diritto della forza è consacrato come mezzo legittimo, e la guerra e la conquista e la schiavitù e l’oppressione delle razze inferiori sono considerate come il frutto di leggi naturali, e non generano più nel cuore degli uomini avversione e protesta. E perché la vita è conseguenza fatale dell’organismo, non c’è libertà, non c’è imputabilità: tutti siamo uguali dinanzi alla natura; non c’è lode e non c’è biasimo…Avevamo l’umanismo; oggi abbiamo l’animalismo nella sua esagerazione. E’ chiaro che in questo nuovo ambiente c’è qualcosa di basso e di corrotto, che vuol essere purificato”.
Questo passo ci permette di comprendere storicamente le ragioni della nostra crisi e ci indica le vie della nuova liberazione. Uno dei caratteri della cultura liberata dalla tradizione ecclesiastico-medioevale-controriformistica è l’accentuazione della scienza della natura. Ma di fronte agli studi scientifici in una visione umanistica, storicistica e, allora, anche la scienza naturalistica è un momento dell’eterna e incessante liberazione dello spirito umano, liberazione che si congiunge a una sempre più sicura, più piena conoscenza del mondo fisico e storico; o la scienza viene assunta a unico criterio di vita e, allora, si ha un’indistinta e pericolosa esaltazione della natura e della forza, dell’esteriorità – per così dire – allo spirito umano. Il rapido passaggio cui assistette il mondo ottocentesco, dalla concezione umanistica della vita alla concezione animalistica, portò al trionfo della concezione della “forza”, della volontà di potenza. Il mondo, a pochi anni dalle morti di Mazzini, di Garibaldi, di Lincoln, conosceva gli orrori dell’imperialismo e del nazionalismo, dottrine e prassi di uomini resi quasi pazzi dalla volontà di potenza priva del senso sia della trascendenza che della storicità. Il motto dell’epoca dell’imperialismo è veramente quello dell’anarchico tedesco, non per aver abbandonato il Cristianesimo cattolico, ma per aver abbandonato la civiltà della tolleranza, della libertà, della cultura umanistica. Tutto fu inquinato di nullismo; perfino, una dottrina come il socialismo, che era sorto nelle tempeste sentimentali del romanticismo battagliante per un’umanità migliore e i cui apostoli avevano parlato il linguaggio della fraternità dei popoli, trovò nuove vie in una esaltazione della violenza generatrice di nuove ere.
L’era nuova venne dagli orrori di una guerra nella quale si misurarono forze gigantesche, brutali, ma anche irradiate dagli ultimi raggi di idealistiche speranze di un futuro di maggiori libertà, di un mondo mazzinianamente congegnato in una famiglia di popoli liberi. Dagli orrori di una guerra che vide scatenarsi tutte le forze animalistiche rimosse nel più profondo della natura umana, dagli orrori di una guerra che vide esaltato già non più l’eroismo generoso, ma l’audacia del pugnale, dell’arma brigantesca, e l’attacco rapido senza pietà e senza umanità, che vide i gas e i sottomarini, da questa guerra sorse il fascismo. Il fascismo fu il trionfo della violenza, dell’ignoranza, della disonestà, dell’incompetenza, ma, soprattutto, dell’intolleranza. Privo di ogni forza morale, pura esperienza di brigantaggio politico, aveva bisogno per mantenersi al potere di una forza vera che imponesse rispetto con la sua diffusione nel popolo e con il consenso che le venisse da ogni strato sociale. Questa forza fu il cattolicesimo; il cattolicesimo dei politicanti, il cattolicesimo dei Gesuiti, che, difatti, acquistarono importanza rinnovata. Il Cattolicesimo sembrò scindersi in un doppio gioco che era, in realtà, qualcosa di più serio: antifascismo periferico e individuale, filofascismo al centro. Gli accordi tra le due potenze senza scrupoli, a danno del popolo italiano, portarono alla distruzione radicale delle conquiste dell’Italia ottocentesca. Come la conquista fascista sia cessata e come invece non sia cessata quella vaticana è storia che si sta svolgendo sotto i nostri occhi.
Perché l’Italia giace sotto l’oppressione gesuitica? E’ semplicistico accusare gli Alleati e, specialmente, gli Americani, dato che gli Inglesi non hanno modificato il loro glorioso antipapismo: è semplicistico accusare gli Americani, perché se è vero che essi proteggono oggi ostentatamente il partito del Vaticano lo fanno dopo aver sperimentato il fiasco degli altri partiti borghesi, laici; lo fanno perché nella loro irrazionale paura del comunismo credono di aver trovato l’antidoto del clericalismo e non sospettano neppure quali passi innanzi fanno fare, così al comunismo. La verità è che il clericalismo trionfa oggi in Italia e più trionferà, perché noi manchiamo di forze ideali da opporgli; trionfa il clericalismo perché noi abbiamo completamente sbagliato l’impostazione della lotta laica. Abbiamo combattuto il clericalismo in nome di una religione inferiore o, meglio, di un’irreligione quale è il laicismo naturalistico, scientista e non in nome di una religione migliore. I paesi calvinisti (assai meno i luterani perché più affini ai cattolici) non hanno conosciuto soste nel loro cammino alla libertà perché hanno distrutto il cattolicesimo con una religione migliore: il nostro laicismo è animalistico, il loro laicismo è religioso.
Si fissi nitido questo concetto: ogni propaganda di ateismo, di irreligioneria, di laicismo grossolano giova solo al Cattolicismo. Questo misto di dogmi e superstizioni è pur sempre la religione, anche dopo il Concilio di Trento, di grandi anime, di Pascal e di Manzoni; combattere la religione di Pascal con ciance e bassa propaganda biologico-scientista significa non capire nulla dello spirito umano. Quando gli uomini sono in adorazione della loro animalità e vivono bene nel godimento dei beni terreni, senza gravi crisi economiche, ascoltano volentieri una propaganda grossolana di ateismo e facile epicureismo; ma il cattolicesimo sta alle vedette: aspetta che guerre e crisi economiche facciano piombare questi esseri felici nella miseria e nell’abiezione per riconquistarli. La gente, spiritualmente vinta, non sentirà più le fandonie nostre; preferirà quelle altre. Perché? Perché nell’attuale momento storico esse scuotono l’animo suo come scossero gli animi degli uomini medioevali nei tempi della barbarie ritornata. Perché la religiosità, è una forma insopprimibile dello spirito umano: presumere di trattarle come forma patologica è infantile frutto di ignoranza. Potrà essere religiosità superstiziosa come la cattolica; religiosità umanistica e liberatrice come la calvinistica; potrà essere religiosità un po’ indistinta non come vera e propria religiosità fatta di culto e di sacerdoti, ma religiosità operosa e rivoluzionaria come la religiosità romantica della libertà; ma la religiosità è l’anima della storia.
Di recente uno scrittore evangelico, Angelo Crespi, ha scritto un elevatissimo articolo su “La Luce” (28 febbraio 1947), sul concetto di laicismo, che è degno di molta meditazione. Dopo aver affermato un pensiero al quale una corretta storiografia non può non aderire che – cioè – “il laicismo è sempre una breve e locale eccezione” nella storia dell’umanità che conosce sempre società religiose nelle società organizzate a vita sociale, afferma che è illusorio pretendere di poter fondare una religiosità laica sul concetto di autonomia: (“è errore ritenere che) si possa a un tempo essere cristiani (religiosi) e professare la morale dell’autonomia, la morale indipendente della religione; ritenere Gesù la più grande personalità morale della storia e considerare come illusione il suo sentire dipendente da Dio in ogni cosa”. E’ così: la religione è senso della trascendenza; senso di ubbidienza a una norma che viene dall’alto. Negare l’esistenza di una norma divina è negare il Cristianesimo. Se neghiamo il Cristianesimo che cosa gli possiamo sostituire? Ecco il problema tragico:, il laicismo può anche ammettere che l’uomo trovi nel suo spirito la Parola di Dio, l’universalità, cioè, del dovere, tormentando magari, l’anima sua, ma questa ricerca è sempre una vittoria, una conquista, un premio di travaglio, mai un’illuminazione suprema come nel Cristianesimo. Ma possiamo noi bandire un laicismo che sia ai margini del Cristianesimo senza che lo spirito comune sia portato ad oltrepassare i margini e sconfinare nella religione che lo soddisfa di più?
Forse la soluzione del problema è questa: il laicismo deve combattere il cattolicesimo affiancando forme di religiosità cristiane antigerarchiche, liberali e, mai, poi mai, il grossolano ateismo, come farebbe comodo ai cattolici. Il laicismo deve tentare la liberazione dello spirito umano da una religione che non lega all’Eterno, ma al papa e alla Compagnia. Deve, cioè, favorire anche nel campo religioso la liberazione dell’individuo non anarchicamente sbizzarrentesi, ma dominato e guidato da esigenze universali. Insomma il compito del pensiero laico è di ricreare l’idealismo morale che fu del liberalismo e dello storicismo contro l’oppressione e l’oscurantismo. Solo da un approfondimento del problema religioso e non da un semplicistico negarlo o trascurarlo può venire quella libertà che sarà poi il becchino del cattolicesimo.
Il cammino sarà lungo; ma sarebbe assai più lungo e difficile se il Cattolicesimo non avesse fornito al laicismo una formidabile arma di battaglia: la lotta politica. Il cattolicesimo si è portato dal terreno difficile della lotta religiosa a quello della lotta politica. Qui è più facile batterlo solo che si uniscano le forze laiche. Ma di ciò riparleremo.
(da “Civiltà moderna, battaglie del pensiero laico”, anno 1, n. 2 luglio 1947, direttori Marcello Capurso e Franco Bertarelli)