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Conversando con il prof. Giuseppe Galasso

Intervista di Valter Vecellio
Napoli, 07 marzo 2016

Valter Vecellio intervista Giuseppe Galasso, professore emerito di Storia Medievale e Moderna all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Sono stati discussi i seguenti argomenti: Croce, Cultura, Divorzio, Etica, Filosofia, Giornali, Informazione, Italia, Laicità, Mass Media, Mezzogiorno, Monarchia, Partiti, Politica, Referendum, Religione, Storia, Sud.

Questa rubrica è disponibile anche nella sola versione audio.

Fonte: Radio Radicale

Domanda: Una breve, sintetica presentazione anche se sono convinto che sia superflua. Lei, professor Galasso, è autore di una quantità di pubblicazioni di carattere storico, gran conoscitore ed estimatore di Benedetto Croce; politico, anche in senso militante, da sempre nell’area laica, parlamentare del Partito Repubblicano, esperienza di governo come sottosegretario ai Beni culturali, intensa attività pubblicistica… Ho citato Croce: per le edizioni Adelphi ha curato e cura la pubblicazione di numerosi testi di questo personaggio così importante nella e per la cultura italiana e non solo italiana. Croce, come lei sa, è figura centrale e particolarmente cara per noi dell’Associazione per la libertà della e nella cultura; e in particolare vorremmo scandagliare con il suo aiuto quel “terreno” che definiamo “diritto umano e civile alla conoscenza. Da questo bandolo, vorremmo partire: viviamo tempi dove non c’è un giornale unico, però è quasi come se ci fosse, perché i giornali sono un po’ tutti uguali, perché stampa ed editoria in genere sono sempre più delle grandi concentrazioni… una situazione che può legittimare qualche inquietudine. Da una parte ci sono tanti strumenti a nostra disposizione: giornali, televisioni, radio, internet, che consentono una diffusione di fatti e notizie in tempo reale. Dall’altra mi pare si possa dire che gli spazi di vera, autentica conoscenza si restringono sempre più… E’ una visione pessimistica? E se lo è, perché, e come stanno le cose?  

Galasso: “No: non si sbaglia, nella materialità dei fatti che lei ha elencato, anche perché il ritmo dell’informazione, attraverso la molteplicità di strumenti che, fortunatamente abbiamo a disposizione, determina una ‘velocità’ tale che procura indubbi vantaggi; al tempo stesso rende difficile sedimentare tutta l’informazione che si riceve. Perché si dispone di informazioni molto

dettagliate, e perciò frammentate, scomposte; chi le riceve dovrebbe poi ricomporle e rielaborarle; non sempre accade, perché si viene incalzati e travolti dal ritmo delle informazioni stesse, che si sovrappongono con una velocità incredibile. Sono gli inconvenienti che si verificano nel ‘passaggio’ da un difetto di informazione, come solo pochi anni fa, a una vera e propria indigestione di ‘notizie’ che rende difficile lo stesso discernimento, il riuscire a capire cosa sia davvero importante… Però, bisogna pur dire che questa informazione ‘eccedente’, ultrarapida, che finisce con l’essere necessariamente superficiale o inassimilabile, è tuttavia di qualche utilità. Bisogna, allora, rimettersi all’opera del tempo e della storia. Non dubito che, col tempo, vi sia una progressiva, migliore qualificazione di quanto accade. Forse sono audace in questa speranza, forse il mio è un parlare che ha senz’altro bisogno di essere più ragionato e argomentato; però, mi pare che in questo grandioso fenomeno della moltiplicazione all’eccesso dell’informazione vi sia un nucleo talmente positivo che, alla lunga, non può non venir fuori; e sono convinto che in parte già accada. Se vogliamo analizzare la situazione con un minimo di respiro storico, teniamo presente che cent’anni fa gli alfabetizzati erano una minoranza della popolazione, spesso una minima minoranza. Oggi la situazione è tale che la “notizia” può essere compresa dalla maggioranza delle popolazioni di tantissimi paesi: quelli avanzati, ma anche quelli meno sviluppati o in via di sviluppo…Diciamo che il processo “digestivo” dell’informazione, fatalmente è destinato a migliorare. È già migliorato, per certi aspetti. Che possa raggiungere l’optimum, non lo so, non lo posso prevedere; però credo di poter dire che la percentuale di ‘ottimo’ è già salita, e salirà ancora di più nel futuro, proprio con lo sviluppo ulteriore dell’informazione: informazione che va qualificata nel senso da lei accennato. Qui c’è tutto un lavoro da fare: da parte dei fruitori dell’informazione, ma anche da parte di chi la produce e trasmette. Con questo non è che voglio essere portatore di una veduta ottimistica a tutti i costi, perché l’ottimismo è un pregiudizio analogo al pessimismo; vuole essere uno sforzo a guardare al di là della superficie, quello che può costituire un aspetto dinamico e, come si diceva una volta con un aggettivo che non si usa quasi più, ‘progressivo’”.

D.: E’ confortante che lei veda qualcosa di positivo e concreto sotto la ‘superficie’, almeno le premesse di una possibile realtà…

Galasso: “E’ quello che penso…”.

D.: Lei, l’abbiamo detto prima, è stato dirigente e militante repubblicano, per formazione culturale, indole, idealità, fa parte della famiglia liberale intesa nel più ampio e più alto termine…”.

Galasso: “Assolutamente sì.”

D.: Uno dei campioni di questo liberalismo è stato uno dei nostri presidenti della Repubblica, uno dei più di prestigiosi: Luigi Einaudi; nelle sue “Prediche inutili”, fin dalle prime pagine, Einaudi scolpisce una sorta di comandamento: “Conoscere per deliberare”… Questa è la differenza che ci rende cittadini e non sudditi: l’essere consapevoli di quello che accade attorno a noi, delle decisioni che prese in nostro nome, da persone che abbiamo delegato a rappresentarci.
Ecco, lei può dire in tutta coscienza che, oggi, il cittadino è posto nella condizione di conoscere quello che fanno i loro governanti, le ragioni per cui lo fanno, le conseguenze dei provvedimenti adottate? Ho l’impressione che non si possa dire che oggi si conosce a sufficienza per poter deliberare con ‘scienza e coscienza’…

Galasso: “L’apparenza delle cose (che non è mai soltanto apparenza, noi siamo abituati a dire “questa apparenza” però anche questa conta, non è che sia senza importanza) va nel senso detto da lei. Però ricordo con grande nettezza mnemonica, se posso dire così, che questo gravissimo ‘inconveniente’ che lei indica, non è cosa solo di oggi… In passato questo fenomeno era ancora più accentuato. Per dirne una: ricordo, per averla fatta da giovanissimo, la campagna elettorale per la Repubblica o la Monarchia… La forza che la tradizione monarchica aveva nel Mezzogiorno e in altre parti d’Italia era determinante per far decidere di votare per la Monarchia, indipendentemente da ogni ragionamento nel Mezzogiorno; e solo per questo il voto a favore dei Savoia raggiunse quote impressionanti: l’80 e più per cento dei voti, a cominciare da Napoli e dalla sua provincia; ma anche in Puglia, Lucania, Sicilia, nonostante vi fosse stato un battage repubblicano intensissimo. Ma al di là del Mezzogiorno: pensi per esempio al Piemonte, dove la tradizione sabauda era così forte che la monarchia ebbe una quantità di voti. La proporzione tra voti repubblicani e voti monarchici in Piemonte non a caso era molto inferiore a quella di altre regioni del Nord e del Centro Italia… E che dire del voto democristiano? Che era un voto importante, lo è stato per tanto tempo; io pur essendo laico e repubblicano non ho mai avuto, e non ho neppure oggi, un’idea negativa totalmente della Democrazia Cristiana e della funzione che ha svolto nella storia del nostro Paese; però, mi viene da sorridere rispetto a ciò che era il voto democristiano nella sua composizione sociale, femminile, di associazioni cattoliche, ecc.; era spesso un voto a priori, a prescindere. Se passiamo all’oggi, sono anch’io insoddisfatto almeno quanto lei della qualità e del significato intrinseco dell’informazione dei tempi nostri; e sicuramente abbiamo un eccesso insopportabile di informazione di scarsissima qualità: i talk show televisivi somigliano molte volte più a baruffe di piazza e di mercato che non a seri dibattiti politici. Io propendo per una minore quantità e una maggiore qualità; al tempo stesso credo che oggi vada meglio che nel passato”.

D.: Professore, che vi sia, come dice lei, una maggiore ampiezza informativa rispetto al passato consola poco: bisogna pur prendere atto che ci sono una quantità di argomenti, di questioni, che ci toccano direttamente e quotidianamente, e non vengono minimamente trattati. Faccio un solo esempio: sono estremamente rispettoso di tutte le convinzioni etiche, religiose, morali, che ciascuno di noi legittimamente coltiva; però che non si sia fatto un solo dibattito, con le tesi pro e contro su temi importanti, che ci riguardano direttamente, come la dignità della vita e della morte, o la giustizia, e si sia condannati ai battibecchi di una Santanché o di un Gasparri, è avvilente… Che non ci sia nessun tipo di riflessione, di confronto, ecco: questa è la negazione della democrazia, dell’idea stessa di democrazia.

Galasso: “Guardi, che questo discorso glielo sottoscrivo, parola per parola…”.

D.: Dovremmo individuare degli anti-corpi, dei contravveleni…

Galasso: “Vorrei dire ancora una cosa. Sono assolutamente d’accordo con lei per quel che riguarda i vuoti, le carenze, le insufficienze; però questo non significa che non passi nulla. Lo si può dedurre dal fatto che certe battaglie di civiltà oggi sono perfino superflue. Quando c’è stata la questione del divorzio (grande benemerenza radicale, e in particolare di Marco Pannella) fu dura, e non era detto a priori che si vincesse. Anzi c’era molta apprensione, in tanti temevano di perderla. Bisogna dire che gli antidivorzisti erano stati efficaci nella loro propaganda. Per abrogare la legge bisognava votare SI, e dunque, come ricorderà, chi era favorevole al divorzio doveva votare NO. Uno degli slogan che si inventarono era: ‘Sì come nel giorno delle nozze’; era di grandissima efficacia. Poi il divorzio fortunatamente vinse e, con sorpresa generale, con una percentuale superiore a quella che ci si aspettava…”.

D.: “Professore, la contraddico: con la sorpresa generale dei vertici dei partiti che non avevano già allora capito nulla del paese, a differenza dei radicali che erano invece sicuri che si sarebbe vinto…

Galasso: “Sì, questa fu una grande intuizione radicale. Ma ciò non toglie che si aveva una gran paura d perdere. Ricordo a una grande piazza di Vibo Valentia dove si doveva svolgere il comizio di un importante del PCI di allora; la piazza era quasi deserta. Era stata fatta una propaganda a tappeto, contro quella manifestazione. Poi è vero, il risultato del referendum non fu quello che il vuoto della piazza avrebbe fatto immaginare… Oggi, una battaglia per il divorzio sarebbe assurdo farla: nessuno, dico nessuno, si sognerebbe di promuovere un referendum per l’abolizione del divorzio. Ci sono sedimentazioni che si creano e battaglie che si vincono”.

D.: Faccio appello al Galasso storico, non solo al Galasso militante e dirigente politico. Lei ha citato il comizio in Calabria; io potrei fare l’esempio di una cecità incredibile manifestata da Amintore Fanfani nel corso di un comizio a Enna: dove ebbe l’impudenza, non so come definirla meglio, di offendere i siciliani dicendo: ‘Se passa la legge sul divorzio, le vostre mogli scapperanno per alcove proibite con le vostre domestiche’. Pensava evidentemente di fare presa, in questo modo. I casi sono due: o i siciliani volevano tutti liberarsi delle loro mogli, oppure non si sono resi conto dell’assurdità dell’affermazione. Propendo per questa seconda ipotesi. Fatto è che la Sicilia è stata una delle regioni più favorevoli al divorzio…

Galasso: “Quella comunque era la carta che giocarono democristiani e fascisti…”.

D.: La legge sul divorzio porta il nome di Loris Fortuna, socialista, in minoranza nel suo stesso partito; e del liberale Antonio Baslini. Però il PCI e buona parte del mondo laico sono arrivati all’appuntamento divorzista costretti dall’intransigenza democristiana e clerical vaticana di allora; ma per evitare il referendum avrebbero fatto di tutto…

Galasso: “Quello fu un formidabile autogol di Fanfani…”.

D.: Ma i laici di allora e il PCI fecero di tutto per scongiurare il referendum. Ne ricavo questo: da una parte avevano paura che il loro elettorato li tradisse; dall’altra non capivano che sarebbero stati piuttosto cattolici e fascisti a ‘tradire’ i loro partiti. Perché è questo che è accaduto…

Galasso: “Tutto quello che dice è vero; e ricordo quei giorni come appassionanti, pagine di reali battaglie e dibattiti di civiltà, tra le più intense che questo paese abbia avuto nella sua storia recente. Ma non l’ho citata per questo. La ricordo per dire che l’informazione poi si accumula e, accumulandosi, si stabiliscono le soglie al di là delle quali non si può più tornare indietro. La campagna per il divorzio, riuscì a coinvolgere l’intero paese, grandi città e province, operai, contadini, borghesi. Intellettuali, giovani e anziani, laici e cattolici… Si vinse largamente, perché dietro a quella battaglia c’era una reale e sentita esigenza della base del Paese; ma si vinse anche perché quei partiti che lei ricordava, di buon o di cattivo grado, alla fine assunsero una posizione netta; anche questo bisogna ricordarlo. Aggiungo che il disprezzo che una parte della classe politica nutre per l’informazione, è molto sciocco. È una delle deficienze maggiori. Si dice: ‘Va bene, queste sono cose di cui si occupano i giornali, i talk show…’. Ma sono anche cose di cui si occupano i giornali… Un politico napoletano di tanto tempo fa diceva: ‘Ma voi sapete perché si chiamano giornali? Perché escono ogni giorno, durano ventiquattro ore, passate le ventiquattro ore arrivederci…’”.

D.: Ci si incarta il pesce…

Galasso: “E non era il modo migliore di capire la funzione dei giornali?”.

D.: Però in quelle ventiquattrore almeno che si legga qualcosa.

Galasso:“Già, qualcosa si finisce sempre col leggere. Io non voglio fare l’elogio dei talkshow e dei tanti dibattiti che, tra parentesi, mi sembrano davvero troppi alla fine noiosi. Lo dicevo per associarmi a quella critica dell’informazione che ha fatto lei; al tempo stesso no vorrei buttar via la proverbiale acqua sporca con il bambino dentro. Bisogna sempre vedere nei processi storici l’aspetto prevalente: può essere positivo o negativo, ma l’aspetto positivo non ci deve far trascurare il suo contrario. Insomma, occorre equilibrio, questo mi preme dire”.

D.: Lei ha studiato a fondo Benedetto Croce, ne cura le opere. Ipotizziamo che un ragazzo diciottenne le chieda: perché leggere Croce, e da quale opera cominciare?

Galasso: “Posso essere sincero?”

D.: Deve…

Galasso: “Mi pare un problema un po’ astratto.”

D.: Perché?

Galasso: “Prescinderei dal giovane di diciotto anni. Io ho un nipote di quell’età. Non gli andrei mai a dire leggi Benedetto Croce…”.

D.: Lei non glielo dice, ma è lui che glielo chiede…

Galasso: “Se è lui che me lo chiede, cerco di cavarmela in qualche modo. Però non è un problema di età…”.

D.: Insisto: prendiamo il caso di un ragazzo in quella fascia d’età…

Galasso: “Facciamo una premessa: il nostro diciottenne ha un primo approccio a Croce, ma lo possiamo leggere e rimeditare anche dopo, in piena maturità, c’è sempre qualcosa che Croce ci può dare… Croce è nato centocinquanta anni fa; anagraficamente parlando è un uomo del passato, consegnato alla storia. A chi fa questa osservazione, replico: ‘Hai perfettamente ragione, e proprio per questo è utile, importante leggerlo’. E’ stato consegnato alla storia non in un senso generico e cronologico (tutti siamo consegnati alla storia, da questo punto di vista); Croce è consegnato alla storia in un senso molto più intenso e specifico. È uno di qui personaggi, la cui avventura ed esperienza umana lascia nella storia una traccia più rilevante, che rientra nella generale costruzione del proprio patrimonio culturale e morale dell’umanità. È consegnato alla storia in quanto è diventato un classico”.

D.: Cosa intendiamo per “classici”?

R.: “Sono quegli autori del passato che hanno capito qualcosa del loro tempo e, quindi capiscono qualcosa di ogni tempo; capendo qualcosa dei problemi e dei drammi del loro tempo, riflettendo su quei problemi e drammi e cercando di farsene una ragione, e mettono il dito su una qualche piaga, o qualche fiore del giardino dell’umanità; così lasciano un segno. Nel caso di Croce questo segno che ha lasciato nel patrimonio culturale dell’umanitàè nutrito dalla percezione del senso di alcuni valori essenziali, uno dei quali è la libertà, il maggiore dei quali è la libertà”.

D.: Il suo famoso concetto della “religione della libertà…

Galasso: “Appunto: questa concezione particolare della libertà e il dovere dell’esercizio della ragione. In una celebre polemica (Croce era un polemista temibile, spesso fulminante), a un certo punto, disse: ‘C’è il fatto che si cerca di disorientarmi con questi argomenti, ma io mi sono acclimatato al polo della logica e riesce piuttosto difficile staccarmi da questo polo, ed è da questo polo che io rispondo’. Questa mi pare una grande una grande verità morale prima ancora che teorica; per Croce però era anche una verità che aveva un robusto fondamento teorico. Nella filosofia di Croce c’è un nucleo che è l’esame dei caratteri logici e intrinseci delle forme in cui l’umanità vive la sua storia. Distingueva quattro forme, quattro possibili inquadramenti delle esperienze dell’umanità: due di carattere morale, pratico; e due di carattere teorico e conoscitivo. I due di carattere teorico e conoscitivo sono l’estetica e la logica: traducendo in termini più correnti, la poesia, la filosofia o la scienza. I due di carattere pratico sono l’economico e il morale, intendendo per economia tutto ciò che appartiene al ‘regno dei vantaggi’ specifici, particolari; e per morale, ciò che appartiene alla volontà di andare oltre, di collocarsi oltre il livello individuale del volere nella vita pratica, di porsi, dicevo, fini di carattere universale. Ma nel teorizzare il suo pensiero relativamente a questi diversi aspetti dell’attività umana, Croce compie quello che definisco ‘una vera ‘democratizzazione teoretica’; riteneva che tutti gli uomini sono ugualmente partecipi di queste quattro forme di attività. Tutti gli uomini sono soggetti, nel senso crociano, di una esperienza di economia, di una vita morale, estetica, e di un’attività logica. Questo cosa comporta? Significa che tutti siamo poeti, filosofi, politici, economisti o impegnati nell’affermazione di volontà particolaristiche; e tutti siamo soggetti di azioni morali, impegnati nello sforzo di far valere fini e valori ultra-individuali, generali. Quindi, tra me e Dante Alighieri o Shakespeare c’è un rapporto…anche io sono un artista, sono un poeta. Solo che la mia attività estetica si svolge a un livello assolutamente ordinario, quotidiano: di semplice fatto esistenziale; al contrario, quei grandi poeti, artisti o musicisti o quelli che sia, raggiunge una tale densità e intensità di espressione, che sembra ci sia una differenza strutturale proprio, una differenza di natura. Non è così. Io sono come una piccola montagnella di un centimetro, e Dante un Everest, come Shakespeare, o Michelangelo, o Mozart, e così via… Allora uno può vedere il granellino di sabbia, o l’Himalaya, e ne ricava che sono due cose diverse. La rivendicazione di Croce è che sono la stessa cosa, ma ovviamente in una proiezione che non è soltanto quantitativa, perché quella differenza quantitativa si traduce poi in valori, espressi da alcuni geni che Croce reputava rarissimi… Come uomini comuni, non artisti, siamo tutti uomini con le stesse attività, e prospettive. Questo è un punto scarsamente considerato della filosofia di Croce, che però per me è di grande importanza. Ci fa capire fino a qual punto siamo partecipi nel profondo, perché siamo fatti della stessa pasta di ciò che è, nel corso del tempo, l’accumularsi del patrimonio culturale, morale, filosofico, operativo, valoriale dell’umanità. A me pare una straordinaria conquista. L’altro elemento è quello della libertà. Lei ha giustamente richiamato il concetto di ‘religione della libertà’. Croce non batteva tanto l’accento sul termine ‘religione’, quanto sul termine ‘libertà’. Usava il termine ‘religione’ per indicare un certo tipo di impegno morale che noi attribuiamo al termine religioso: ‘Allora quello è uno spirito religioso’, vive cioé con intensità i valori. La religione della libertà era, per Croce, il sentimento che bisogna avere della libertà, della libertà come cifra di tutto lo sviluppo dell’umanità. Da questo punto di vista, la sua filosofia è stata tacciata di un ottimismo inguaribile e totale; secondo Croce ‘la libertà trionfa sempre, la libertà è sempre presente nella storia, anche se a volte è presente nella storia; usa i termini latini che si usano per la Chiesa cattolica, come ‘ecclesia pressa’ e altre volte è presente nella storia come ‘ecclesia triumphans’: cioè, a volte, come una chiesa oppressa, come una libertà oppressa e negata. Altre volte è la chiesa trionfante, la proclamazione del trionfo della libertà. Però è presente sempre all’uno e all’altro di questi momenti o fasi, attraverso le quali si dipana la vicenda tutte le comunità umane e, la negazione della libertà, per lui, non riesce mai a distruggere la libertà”.

D.: Lei si riconosce in questa concezione, si ritiene crociano in questo?

Galasso: “Su questo punto sì, così come su altri… Ma mi pongo anche un interrogativo, con l’esperienza che può suggerire lo storico: perché Croce dice queste cose? Perché ritiene che la libertà sia il motore, la ragione dinamica della storica, il motore di avviamento della storia; ma più che gli esempi che porta, a me interessa capire il senso di questa affermazione crociana, qualche sua previsione storica, fatta da filosofo, e non da storico. Per inciso: sapeva bene che lo storico può fare tutto tranne che profetizzare; il filosofo, invece, ragionando, può dire altre cose e, come filosofo scrivendo “Storia d’Europa” nel 1932, che c’era il comunismo trionfante in Russia e la libertà era ecclesia pressa, c’era il fascismo in Italia, idem ecclesia pressa e stavamo ad appena pochi mesi dal trionfo del nazismo in Germania, che però già si era annunciato ampiamente, perché al signor Adolf Hitler un merito bisogna riconoscerlo, ha detto e scritto fin da subito quello che intendeva fare…”.

D.: Se avessero letto con attenzione quello che scriveva, il “Mein Kampf”…

Galasso: “Se lo avessero preso sul serio, ma non l’hanno fatto, molto di quello che è accaduto lo avremmo forse evitato… Croce faceva qualche profezia, per esempio rispetto alla Russia sovietica. Dice: ‘Il comunismo è andato al potere per instaurare in Russia una società libera, di dignità umana, di libertà piena, senza lo Stato, senza le classi, eccetera. Ha soppresso la libertà politica così come noi la concepiamo totalmente, ha instaurato una dittatura ferrea e, però, non è andata al di là di questo, realizza dei grandi progressi materiali, ma non si vede luce di libertà e non andrà neppure avanti la società; la loro opera materiale stessa su questi fondamenti non può andare avanti. Adesso stanno trionfando in Russia perché agiscono in un Paese abituato già alla civiltà politica dello zarismo e in cui l’oppressione politica e la negazione della libertà è una vecchia tradizione, ma il giorno in cui vorranno veramente perseguire i loro fini ideali, così come li proclamano, dovranno tornare alla libertà, dovranno smantellare l’apparato marxistico, dovranno venire sul terreno della libertà’. Beh, mi pare sia stato abbastanza profeta…”.

D.: Diciamo che ha visto dove gli altri si limitavano a guardare…

Galasso: “No però devo aggiungere una cosa… Prima le avevo detto che per questa concezione della libertà che finisce sempre col trionfare, Croce è ritenuto un filosofo intenzionalmente ottimista, uno che, traduco volgarmente, si fa molte illusioni sulla storia. Può darsi che qualche illusione se la facesse, riguardo alla libertà. Per quel che mi riguarda, tenderei anch’io a partecipare a questa illusione. È meglio sempre farsi qualche illusione circa la libertà, anziché ‘semplicemente’ disperarsi perché la libertà non c’è. Però Croce non aveva elaborato un’idea scioccamente ottimistica della storia e del destino dell’uomo. Lui pronuncia frasi terribili, da questo punto di vista. Ne cito una: ‘La civiltà è come il fiore che nasce sulla roccia…però come è prodigioso che nasca e come è prodigiosa la sua bellezza, così anche può darsi che un’intemperie, il passaggio di una capra, il gesto inconsulto di qualcuno, strappi quel fiore e lo distrugga”. Detto in parole povere: non vi è certezza del destino umano, ma non vi è neppure certezza fuori dalla storia; quindi, finisce poi col proporre la storia come medicina. I fattori che producono i drammi storici si possono convertire, alla lunga in fattori costruttivi di un’altra storia. Parlando per esempio della decadenza dell’Impero romano, dice: ‘Questa caduta dell’Impero romano impiega tre-quattro secoli, dal III secolo al V o VI secolo e tutti dicono – secondo il titolo di una delle più importanti opere storiche europee, quella di Gibbon, “Storia del declino e della caduta dell’Impero romano”; è un cattivo modo di vedere la storia, perché quella era la fine dell’Impero romano ma la fine dell’Impero romano comportava anche la nascita di una nuova civiltà; la civiltà cristiana comportava l’avvento sulla scena storica di genti (quelle germaniche, fino ad allora al margine della grande storia mediterranea ed europea); questo è l’elemento essenziale di quei secoli di decadenza: non ciò che muore, ma quello che nasce: il pilastro, l’elemento fondamentale, dello svolgimento di quei secoli e quindi anche di ciò che lo storico deve capire e trasmettere. Che poi questa affermazione di nuova civiltà e di un nuovo mondo prosegua attraverso drammi, violenze, patimenti, questo, nella concretezza dell’umanità c’è; però anche qui bisogna guardare se in tutto questo dramma dell’uomo, mentre muore qualcosa contemporaneamente nasce o non nasce altro. Per Croce ogni passaggio dell’umanità, anche drammatico, è insieme il tramonto di qualcosa, e la nascita di qualcosa d’altro, non meno importante”.

D.: Professore, abbiamo cominciato con la conoscenza, il diritto alla conoscenza, siamo finiti con una lezione magistrale su Croce…

Galasso: “Da maestro elementare…”

D.: “Prego?”

Galasso: “Nella mia vita ho fatto anche il maestro elementare, quindi…”.

D.: La disturberemo in altre occasioni perché è stato prezioso quello che ci ha detto. Vorremmo ancora attingere al suo sapere e alla sua disponibilità. Si ritenga impegnato…

Galasso: “Mi fa intravedere un terribile il futuro per me…”.

D.: “E almeno altre tre puntate, non è una minaccia, è una promessa…”.

Galasso: “Ma io mi ritengo vostro amico…”.

D.: Di questa amicizia faremo buon uso e abuso“.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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Valter Vecellio intervista Giuseppe Galasso, professore emerito di Storia Medievale e Moderna all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Sono stati discussi i seguenti argomenti: Croce, Cultura, Divorzio, Etica, Filosofia, Giornali, Informazione, Italia, Laicità, Mass Media, Mezzogiorno, Monarchia, Partiti, Politica, Referendum, Religione, Storia, Sud.

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Fonte: Radio Radicale

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Domanda: Una breve, sintetica presentazione anche se sono convinto che sia superflua. Lei, professor Galasso, è autore di una quantità di pubblicazioni di carattere storico, gran conoscitore ed estimatore di Benedetto Croce; politico, anche in senso militante, da sempre nell’area laica, parlamentare del Partito Repubblicano, esperienza di governo come sottosegretario ai Beni culturali, intensa attività pubblicistica… Ho citato Croce: per le edizioni Adelphi ha curato e cura la pubblicazione di numerosi testi di questo personaggio così importante nella e per la cultura italiana e non solo italiana. Croce, come lei sa, è figura centrale e particolarmente cara per noi dell’Associazione per la libertà della e nella cultura; e in particolare vorremmo scandagliare con il suo aiuto quel “terreno” che definiamo “diritto umano e civile alla conoscenza. Da questo bandolo, vorremmo partire: viviamo tempi dove non c’è un giornale unico, però è quasi come se ci fosse, perché i giornali sono un po’ tutti uguali, perché stampa ed editoria in genere sono sempre più delle grandi concentrazioni… una situazione che può legittimare qualche inquietudine. Da una parte ci sono tanti strumenti a nostra disposizione: giornali, televisioni, radio, internet, che consentono una diffusione di fatti e notizie in tempo reale. Dall’altra mi pare si possa dire che gli spazi di vera, autentica conoscenza si restringono sempre più… E’ una visione pessimistica? E se lo è, perché, e come stanno le cose?  

Galasso: “No: non si sbaglia, nella materialità dei fatti che lei ha elencato, anche perché il ritmo dell’informazione, attraverso la molteplicità di strumenti che, fortunatamente abbiamo a disposizione, determina una ‘velocità’ tale che procura indubbi vantaggi; al tempo stesso rende difficile sedimentare tutta l’informazione che si riceve. Perché si dispone di informazioni molto

dettagliate, e perciò frammentate, scomposte; chi le riceve dovrebbe poi ricomporle e rielaborarle; non sempre accade, perché si viene incalzati e travolti dal ritmo delle informazioni stesse, che si sovrappongono con una velocità incredibile. Sono gli inconvenienti che si verificano nel ‘passaggio’ da un difetto di informazione, come solo pochi anni fa, a una vera e propria indigestione di ‘notizie’ che rende difficile lo stesso discernimento, il riuscire a capire cosa sia davvero importante… Però, bisogna pur dire che questa informazione ‘eccedente’, ultrarapida, che finisce con l’essere necessariamente superficiale o inassimilabile, è tuttavia di qualche utilità. Bisogna, allora, rimettersi all’opera del tempo e della storia. Non dubito che, col tempo, vi sia una progressiva, migliore qualificazione di quanto accade. Forse sono audace in questa speranza, forse il mio è un parlare che ha senz’altro bisogno di essere più ragionato e argomentato; però, mi pare che in questo grandioso fenomeno della moltiplicazione all’eccesso dell’informazione vi sia un nucleo talmente positivo che, alla lunga, non può non venir fuori; e sono convinto che in parte già accada. Se vogliamo analizzare la situazione con un minimo di respiro storico, teniamo presente che cent’anni fa gli alfabetizzati erano una minoranza della popolazione, spesso una minima minoranza. Oggi la situazione è tale che la “notizia” può essere compresa dalla maggioranza delle popolazioni di tantissimi paesi: quelli avanzati, ma anche quelli meno sviluppati o in via di sviluppo…Diciamo che il processo “digestivo” dell’informazione, fatalmente è destinato a migliorare. È già migliorato, per certi aspetti. Che possa raggiungere l’optimum, non lo so, non lo posso prevedere; però credo di poter dire che la percentuale di ‘ottimo’ è già salita, e salirà ancora di più nel futuro, proprio con lo sviluppo ulteriore dell’informazione: informazione che va qualificata nel senso da lei accennato. Qui c’è tutto un lavoro da fare: da parte dei fruitori dell’informazione, ma anche da parte di chi la produce e trasmette. Con questo non è che voglio essere portatore di una veduta ottimistica a tutti i costi, perché l’ottimismo è un pregiudizio analogo al pessimismo; vuole essere uno sforzo a guardare al di là della superficie, quello che può costituire un aspetto dinamico e, come si diceva una volta con un aggettivo che non si usa quasi più, ‘progressivo’”.

D.: E’ confortante che lei veda qualcosa di positivo e concreto sotto la ‘superficie’, almeno le premesse di una possibile realtà…

Galasso: “E’ quello che penso…”.

D.: Lei, l’abbiamo detto prima, è stato dirigente e militante repubblicano, per formazione culturale, indole, idealità, fa parte della famiglia liberale intesa nel più ampio e più alto termine…”.

Galasso: “Assolutamente sì.”

D.: Uno dei campioni di questo liberalismo è stato uno dei nostri presidenti della Repubblica, uno dei più di prestigiosi: Luigi Einaudi; nelle sue “Prediche inutili”, fin dalle prime pagine, Einaudi scolpisce una sorta di comandamento: “Conoscere per deliberare”… Questa è la differenza che ci rende cittadini e non sudditi: l’essere consapevoli di quello che accade attorno a noi, delle decisioni che prese in nostro nome, da persone che abbiamo delegato a rappresentarci.
Ecco, lei può dire in tutta coscienza che, oggi, il cittadino è posto nella condizione di conoscere quello che fanno i loro governanti, le ragioni per cui lo fanno, le conseguenze dei provvedimenti adottate? Ho l’impressione che non si possa dire che oggi si conosce a sufficienza per poter deliberare con ‘scienza e coscienza’…

Galasso: “L’apparenza delle cose (che non è mai soltanto apparenza, noi siamo abituati a dire “questa apparenza” però anche questa conta, non è che sia senza importanza) va nel senso detto da lei. Però ricordo con grande nettezza mnemonica, se posso dire così, che questo gravissimo ‘inconveniente’ che lei indica, non è cosa solo di oggi… In passato questo fenomeno era ancora più accentuato. Per dirne una: ricordo, per averla fatta da giovanissimo, la campagna elettorale per la Repubblica o la Monarchia… La forza che la tradizione monarchica aveva nel Mezzogiorno e in altre parti d’Italia era determinante per far decidere di votare per la Monarchia, indipendentemente da ogni ragionamento nel Mezzogiorno; e solo per questo il voto a favore dei Savoia raggiunse quote impressionanti: l’80 e più per cento dei voti, a cominciare da Napoli e dalla sua provincia; ma anche in Puglia, Lucania, Sicilia, nonostante vi fosse stato un battage repubblicano intensissimo. Ma al di là del Mezzogiorno: pensi per esempio al Piemonte, dove la tradizione sabauda era così forte che la monarchia ebbe una quantità di voti. La proporzione tra voti repubblicani e voti monarchici in Piemonte non a caso era molto inferiore a quella di altre regioni del Nord e del Centro Italia… E che dire del voto democristiano? Che era un voto importante, lo è stato per tanto tempo; io pur essendo laico e repubblicano non ho mai avuto, e non ho neppure oggi, un’idea negativa totalmente della Democrazia Cristiana e della funzione che ha svolto nella storia del nostro Paese; però, mi viene da sorridere rispetto a ciò che era il voto democristiano nella sua composizione sociale, femminile, di associazioni cattoliche, ecc.; era spesso un voto a priori, a prescindere. Se passiamo all’oggi, sono anch’io insoddisfatto almeno quanto lei della qualità e del significato intrinseco dell’informazione dei tempi nostri; e sicuramente abbiamo un eccesso insopportabile di informazione di scarsissima qualità: i talk show televisivi somigliano molte volte più a baruffe di piazza e di mercato che non a seri dibattiti politici. Io propendo per una minore quantità e una maggiore qualità; al tempo stesso credo che oggi vada meglio che nel passato”.

D.: Professore, che vi sia, come dice lei, una maggiore ampiezza informativa rispetto al passato consola poco: bisogna pur prendere atto che ci sono una quantità di argomenti, di questioni, che ci toccano direttamente e quotidianamente, e non vengono minimamente trattati. Faccio un solo esempio: sono estremamente rispettoso di tutte le convinzioni etiche, religiose, morali, che ciascuno di noi legittimamente coltiva; però che non si sia fatto un solo dibattito, con le tesi pro e contro su temi importanti, che ci riguardano direttamente, come la dignità della vita e della morte, o la giustizia, e si sia condannati ai battibecchi di una Santanché o di un Gasparri, è avvilente… Che non ci sia nessun tipo di riflessione, di confronto, ecco: questa è la negazione della democrazia, dell’idea stessa di democrazia.

Galasso: “Guardi, che questo discorso glielo sottoscrivo, parola per parola…”.

D.: Dovremmo individuare degli anti-corpi, dei contravveleni…

Galasso: “Vorrei dire ancora una cosa. Sono assolutamente d’accordo con lei per quel che riguarda i vuoti, le carenze, le insufficienze; però questo non significa che non passi nulla. Lo si può dedurre dal fatto che certe battaglie di civiltà oggi sono perfino superflue. Quando c’è stata la questione del divorzio (grande benemerenza radicale, e in particolare di Marco Pannella) fu dura, e non era detto a priori che si vincesse. Anzi c’era molta apprensione, in tanti temevano di perderla. Bisogna dire che gli antidivorzisti erano stati efficaci nella loro propaganda. Per abrogare la legge bisognava votare SI, e dunque, come ricorderà, chi era favorevole al divorzio doveva votare NO. Uno degli slogan che si inventarono era: ‘Sì come nel giorno delle nozze’; era di grandissima efficacia. Poi il divorzio fortunatamente vinse e, con sorpresa generale, con una percentuale superiore a quella che ci si aspettava…”.

D.: “Professore, la contraddico: con la sorpresa generale dei vertici dei partiti che non avevano già allora capito nulla del paese, a differenza dei radicali che erano invece sicuri che si sarebbe vinto…

Galasso: “Sì, questa fu una grande intuizione radicale. Ma ciò non toglie che si aveva una gran paura d perdere. Ricordo a una grande piazza di Vibo Valentia dove si doveva svolgere il comizio di un importante del PCI di allora; la piazza era quasi deserta. Era stata fatta una propaganda a tappeto, contro quella manifestazione. Poi è vero, il risultato del referendum non fu quello che il vuoto della piazza avrebbe fatto immaginare… Oggi, una battaglia per il divorzio sarebbe assurdo farla: nessuno, dico nessuno, si sognerebbe di promuovere un referendum per l’abolizione del divorzio. Ci sono sedimentazioni che si creano e battaglie che si vincono”.

D.: Faccio appello al Galasso storico, non solo al Galasso militante e dirigente politico. Lei ha citato il comizio in Calabria; io potrei fare l’esempio di una cecità incredibile manifestata da Amintore Fanfani nel corso di un comizio a Enna: dove ebbe l’impudenza, non so come definirla meglio, di offendere i siciliani dicendo: ‘Se passa la legge sul divorzio, le vostre mogli scapperanno per alcove proibite con le vostre domestiche’. Pensava evidentemente di fare presa, in questo modo. I casi sono due: o i siciliani volevano tutti liberarsi delle loro mogli, oppure non si sono resi conto dell’assurdità dell’affermazione. Propendo per questa seconda ipotesi. Fatto è che la Sicilia è stata una delle regioni più favorevoli al divorzio…

Galasso: “Quella comunque era la carta che giocarono democristiani e fascisti…”.

D.: La legge sul divorzio porta il nome di Loris Fortuna, socialista, in minoranza nel suo stesso partito; e del liberale Antonio Baslini. Però il PCI e buona parte del mondo laico sono arrivati all’appuntamento divorzista costretti dall’intransigenza democristiana e clerical vaticana di allora; ma per evitare il referendum avrebbero fatto di tutto…

Galasso: “Quello fu un formidabile autogol di Fanfani…”.

D.: Ma i laici di allora e il PCI fecero di tutto per scongiurare il referendum. Ne ricavo questo: da una parte avevano paura che il loro elettorato li tradisse; dall’altra non capivano che sarebbero stati piuttosto cattolici e fascisti a ‘tradire’ i loro partiti. Perché è questo che è accaduto…

Galasso: “Tutto quello che dice è vero; e ricordo quei giorni come appassionanti, pagine di reali battaglie e dibattiti di civiltà, tra le più intense che questo paese abbia avuto nella sua storia recente. Ma non l’ho citata per questo. La ricordo per dire che l’informazione poi si accumula e, accumulandosi, si stabiliscono le soglie al di là delle quali non si può più tornare indietro. La campagna per il divorzio, riuscì a coinvolgere l’intero paese, grandi città e province, operai, contadini, borghesi. Intellettuali, giovani e anziani, laici e cattolici… Si vinse largamente, perché dietro a quella battaglia c’era una reale e sentita esigenza della base del Paese; ma si vinse anche perché quei partiti che lei ricordava, di buon o di cattivo grado, alla fine assunsero una posizione netta; anche questo bisogna ricordarlo. Aggiungo che il disprezzo che una parte della classe politica nutre per l’informazione, è molto sciocco. È una delle deficienze maggiori. Si dice: ‘Va bene, queste sono cose di cui si occupano i giornali, i talk show…’. Ma sono anche cose di cui si occupano i giornali… Un politico napoletano di tanto tempo fa diceva: ‘Ma voi sapete perché si chiamano giornali? Perché escono ogni giorno, durano ventiquattro ore, passate le ventiquattro ore arrivederci…’”.

D.: Ci si incarta il pesce…

Galasso: “E non era il modo migliore di capire la funzione dei giornali?”.

D.: Però in quelle ventiquattrore almeno che si legga qualcosa.

Galasso:“Già, qualcosa si finisce sempre col leggere. Io non voglio fare l’elogio dei talkshow e dei tanti dibattiti che, tra parentesi, mi sembrano davvero troppi alla fine noiosi. Lo dicevo per associarmi a quella critica dell’informazione che ha fatto lei; al tempo stesso no vorrei buttar via la proverbiale acqua sporca con il bambino dentro. Bisogna sempre vedere nei processi storici l’aspetto prevalente: può essere positivo o negativo, ma l’aspetto positivo non ci deve far trascurare il suo contrario. Insomma, occorre equilibrio, questo mi preme dire”.

D.: Lei ha studiato a fondo Benedetto Croce, ne cura le opere. Ipotizziamo che un ragazzo diciottenne le chieda: perché leggere Croce, e da quale opera cominciare?

Galasso: “Posso essere sincero?”

D.: Deve…

Galasso: “Mi pare un problema un po’ astratto.”

D.: Perché?

Galasso: “Prescinderei dal giovane di diciotto anni. Io ho un nipote di quell’età. Non gli andrei mai a dire leggi Benedetto Croce…”.

D.: Lei non glielo dice, ma è lui che glielo chiede…

Galasso: “Se è lui che me lo chiede, cerco di cavarmela in qualche modo. Però non è un problema di età…”.

D.: Insisto: prendiamo il caso di un ragazzo in quella fascia d’età…

Galasso: “Facciamo una premessa: il nostro diciottenne ha un primo approccio a Croce, ma lo possiamo leggere e rimeditare anche dopo, in piena maturità, c’è sempre qualcosa che Croce ci può dare… Croce è nato centocinquanta anni fa; anagraficamente parlando è un uomo del passato, consegnato alla storia. A chi fa questa osservazione, replico: ‘Hai perfettamente ragione, e proprio per questo è utile, importante leggerlo’. E’ stato consegnato alla storia non in un senso generico e cronologico (tutti siamo consegnati alla storia, da questo punto di vista); Croce è consegnato alla storia in un senso molto più intenso e specifico. È uno di qui personaggi, la cui avventura ed esperienza umana lascia nella storia una traccia più rilevante, che rientra nella generale costruzione del proprio patrimonio culturale e morale dell’umanità. È consegnato alla storia in quanto è diventato un classico”.

D.: Cosa intendiamo per “classici”?

R.: “Sono quegli autori del passato che hanno capito qualcosa del loro tempo e, quindi capiscono qualcosa di ogni tempo; capendo qualcosa dei problemi e dei drammi del loro tempo, riflettendo su quei problemi e drammi e cercando di farsene una ragione, e mettono il dito su una qualche piaga, o qualche fiore del giardino dell’umanità; così lasciano un segno. Nel caso di Croce questo segno che ha lasciato nel patrimonio culturale dell’umanitàè nutrito dalla percezione del senso di alcuni valori essenziali, uno dei quali è la libertà, il maggiore dei quali è la libertà”.

D.: Il suo famoso concetto della “religione della libertà…

Galasso: “Appunto: questa concezione particolare della libertà e il dovere dell’esercizio della ragione. In una celebre polemica (Croce era un polemista temibile, spesso fulminante), a un certo punto, disse: ‘C’è il fatto che si cerca di disorientarmi con questi argomenti, ma io mi sono acclimatato al polo della logica e riesce piuttosto difficile staccarmi da questo polo, ed è da questo polo che io rispondo’. Questa mi pare una grande una grande verità morale prima ancora che teorica; per Croce però era anche una verità che aveva un robusto fondamento teorico. Nella filosofia di Croce c’è un nucleo che è l’esame dei caratteri logici e intrinseci delle forme in cui l’umanità vive la sua storia. Distingueva quattro forme, quattro possibili inquadramenti delle esperienze dell’umanità: due di carattere morale, pratico; e due di carattere teorico e conoscitivo. I due di carattere teorico e conoscitivo sono l’estetica e la logica: traducendo in termini più correnti, la poesia, la filosofia o la scienza. I due di carattere pratico sono l’economico e il morale, intendendo per economia tutto ciò che appartiene al ‘regno dei vantaggi’ specifici, particolari; e per morale, ciò che appartiene alla volontà di andare oltre, di collocarsi oltre il livello individuale del volere nella vita pratica, di porsi, dicevo, fini di carattere universale. Ma nel teorizzare il suo pensiero relativamente a questi diversi aspetti dell’attività umana, Croce compie quello che definisco ‘una vera ‘democratizzazione teoretica’; riteneva che tutti gli uomini sono ugualmente partecipi di queste quattro forme di attività. Tutti gli uomini sono soggetti, nel senso crociano, di una esperienza di economia, di una vita morale, estetica, e di un’attività logica. Questo cosa comporta? Significa che tutti siamo poeti, filosofi, politici, economisti o impegnati nell’affermazione di volontà particolaristiche; e tutti siamo soggetti di azioni morali, impegnati nello sforzo di far valere fini e valori ultra-individuali, generali. Quindi, tra me e Dante Alighieri o Shakespeare c’è un rapporto…anche io sono un artista, sono un poeta. Solo che la mia attività estetica si svolge a un livello assolutamente ordinario, quotidiano: di semplice fatto esistenziale; al contrario, quei grandi poeti, artisti o musicisti o quelli che sia, raggiunge una tale densità e intensità di espressione, che sembra ci sia una differenza strutturale proprio, una differenza di natura. Non è così. Io sono come una piccola montagnella di un centimetro, e Dante un Everest, come Shakespeare, o Michelangelo, o Mozart, e così via… Allora uno può vedere il granellino di sabbia, o l’Himalaya, e ne ricava che sono due cose diverse. La rivendicazione di Croce è che sono la stessa cosa, ma ovviamente in una proiezione che non è soltanto quantitativa, perché quella differenza quantitativa si traduce poi in valori, espressi da alcuni geni che Croce reputava rarissimi… Come uomini comuni, non artisti, siamo tutti uomini con le stesse attività, e prospettive. Questo è un punto scarsamente considerato della filosofia di Croce, che però per me è di grande importanza. Ci fa capire fino a qual punto siamo partecipi nel profondo, perché siamo fatti della stessa pasta di ciò che è, nel corso del tempo, l’accumularsi del patrimonio culturale, morale, filosofico, operativo, valoriale dell’umanità. A me pare una straordinaria conquista. L’altro elemento è quello della libertà. Lei ha giustamente richiamato il concetto di ‘religione della libertà’. Croce non batteva tanto l’accento sul termine ‘religione’, quanto sul termine ‘libertà’. Usava il termine ‘religione’ per indicare un certo tipo di impegno morale che noi attribuiamo al termine religioso: ‘Allora quello è uno spirito religioso’, vive cioé con intensità i valori. La religione della libertà era, per Croce, il sentimento che bisogna avere della libertà, della libertà come cifra di tutto lo sviluppo dell’umanità. Da questo punto di vista, la sua filosofia è stata tacciata di un ottimismo inguaribile e totale; secondo Croce ‘la libertà trionfa sempre, la libertà è sempre presente nella storia, anche se a volte è presente nella storia; usa i termini latini che si usano per la Chiesa cattolica, come ‘ecclesia pressa’ e altre volte è presente nella storia come ‘ecclesia triumphans’: cioè, a volte, come una chiesa oppressa, come una libertà oppressa e negata. Altre volte è la chiesa trionfante, la proclamazione del trionfo della libertà. Però è presente sempre all’uno e all’altro di questi momenti o fasi, attraverso le quali si dipana la vicenda tutte le comunità umane e, la negazione della libertà, per lui, non riesce mai a distruggere la libertà”.

D.: Lei si riconosce in questa concezione, si ritiene crociano in questo?

Galasso: “Su questo punto sì, così come su altri… Ma mi pongo anche un interrogativo, con l’esperienza che può suggerire lo storico: perché Croce dice queste cose? Perché ritiene che la libertà sia il motore, la ragione dinamica della storica, il motore di avviamento della storia; ma più che gli esempi che porta, a me interessa capire il senso di questa affermazione crociana, qualche sua previsione storica, fatta da filosofo, e non da storico. Per inciso: sapeva bene che lo storico può fare tutto tranne che profetizzare; il filosofo, invece, ragionando, può dire altre cose e, come filosofo scrivendo “Storia d’Europa” nel 1932, che c’era il comunismo trionfante in Russia e la libertà era ecclesia pressa, c’era il fascismo in Italia, idem ecclesia pressa e stavamo ad appena pochi mesi dal trionfo del nazismo in Germania, che però già si era annunciato ampiamente, perché al signor Adolf Hitler un merito bisogna riconoscerlo, ha detto e scritto fin da subito quello che intendeva fare…”.

D.: Se avessero letto con attenzione quello che scriveva, il “Mein Kampf”…

Galasso: “Se lo avessero preso sul serio, ma non l’hanno fatto, molto di quello che è accaduto lo avremmo forse evitato… Croce faceva qualche profezia, per esempio rispetto alla Russia sovietica. Dice: ‘Il comunismo è andato al potere per instaurare in Russia una società libera, di dignità umana, di libertà piena, senza lo Stato, senza le classi, eccetera. Ha soppresso la libertà politica così come noi la concepiamo totalmente, ha instaurato una dittatura ferrea e, però, non è andata al di là di questo, realizza dei grandi progressi materiali, ma non si vede luce di libertà e non andrà neppure avanti la società; la loro opera materiale stessa su questi fondamenti non può andare avanti. Adesso stanno trionfando in Russia perché agiscono in un Paese abituato già alla civiltà politica dello zarismo e in cui l’oppressione politica e la negazione della libertà è una vecchia tradizione, ma il giorno in cui vorranno veramente perseguire i loro fini ideali, così come li proclamano, dovranno tornare alla libertà, dovranno smantellare l’apparato marxistico, dovranno venire sul terreno della libertà’. Beh, mi pare sia stato abbastanza profeta…”.

D.: Diciamo che ha visto dove gli altri si limitavano a guardare…

Galasso: “No però devo aggiungere una cosa… Prima le avevo detto che per questa concezione della libertà che finisce sempre col trionfare, Croce è ritenuto un filosofo intenzionalmente ottimista, uno che, traduco volgarmente, si fa molte illusioni sulla storia. Può darsi che qualche illusione se la facesse, riguardo alla libertà. Per quel che mi riguarda, tenderei anch’io a partecipare a questa illusione. È meglio sempre farsi qualche illusione circa la libertà, anziché ‘semplicemente’ disperarsi perché la libertà non c’è. Però Croce non aveva elaborato un’idea scioccamente ottimistica della storia e del destino dell’uomo. Lui pronuncia frasi terribili, da questo punto di vista. Ne cito una: ‘La civiltà è come il fiore che nasce sulla roccia…però come è prodigioso che nasca e come è prodigiosa la sua bellezza, così anche può darsi che un’intemperie, il passaggio di una capra, il gesto inconsulto di qualcuno, strappi quel fiore e lo distrugga”. Detto in parole povere: non vi è certezza del destino umano, ma non vi è neppure certezza fuori dalla storia; quindi, finisce poi col proporre la storia come medicina. I fattori che producono i drammi storici si possono convertire, alla lunga in fattori costruttivi di un’altra storia. Parlando per esempio della decadenza dell’Impero romano, dice: ‘Questa caduta dell’Impero romano impiega tre-quattro secoli, dal III secolo al V o VI secolo e tutti dicono – secondo il titolo di una delle più importanti opere storiche europee, quella di Gibbon, “Storia del declino e della caduta dell’Impero romano”; è un cattivo modo di vedere la storia, perché quella era la fine dell’Impero romano ma la fine dell’Impero romano comportava anche la nascita di una nuova civiltà; la civiltà cristiana comportava l’avvento sulla scena storica di genti (quelle germaniche, fino ad allora al margine della grande storia mediterranea ed europea); questo è l’elemento essenziale di quei secoli di decadenza: non ciò che muore, ma quello che nasce: il pilastro, l’elemento fondamentale, dello svolgimento di quei secoli e quindi anche di ciò che lo storico deve capire e trasmettere. Che poi questa affermazione di nuova civiltà e di un nuovo mondo prosegua attraverso drammi, violenze, patimenti, questo, nella concretezza dell’umanità c’è; però anche qui bisogna guardare se in tutto questo dramma dell’uomo, mentre muore qualcosa contemporaneamente nasce o non nasce altro. Per Croce ogni passaggio dell’umanità, anche drammatico, è insieme il tramonto di qualcosa, e la nascita di qualcosa d’altro, non meno importante”.

D.: Professore, abbiamo cominciato con la conoscenza, il diritto alla conoscenza, siamo finiti con una lezione magistrale su Croce…

Galasso: “Da maestro elementare…”

D.: “Prego?”

Galasso: “Nella mia vita ho fatto anche il maestro elementare, quindi…”.

D.: La disturberemo in altre occasioni perché è stato prezioso quello che ci ha detto. Vorremmo ancora attingere al suo sapere e alla sua disponibilità. Si ritenga impegnato…

Galasso: “Mi fa intravedere un terribile il futuro per me…”.

D.: “E almeno altre tre puntate, non è una minaccia, è una promessa…”.

Galasso: “Ma io mi ritengo vostro amico…”.

D.: Di questa amicizia faremo buon uso e abuso“.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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